Per intenderci, parlo di questo.
Sono dieci giorni che penso a cosa scriverti, caro Vasco, perché non voglio litigare, ma mi pare che tu sì. A parte che mi avevi promesso di venire a Paris con la scusa del tour europeo e non ti sei visto. A parte che sono venuta a Torino per te e ti sei dato malato. Ora spiegami cos’è questa idea dei Caraibi. (Intanto perché io non sono invitata?!? Mi piacerebbero i Caraibi, ti assicuro. Daiiii, andiamo ai Caraibi.) Però non con la scusa del cancro. Cioè, visto che non l’hai – e spero per te che sia vero, lo spero proprio, dimmelo se non è così, sai che con me puoi parlare, lo sai eh? – dicevo, visto che non l’hai, potevi anche occupare l’intervista in un altro modo.
Intanto perché tra quello che si pensa quando si pensa di avere qualcosa e quello che si pensa quando si ha qualcosa, c’è di mezzo un mare, l’oceano Atlantico, tipo. Poi perché, a parte un po’ di sani masochisti e depressi cronici, non piace a nessuno soffrire e l’idea di morire allegri alletta molti. L’unico dettaglio che ti è sfuggito è che bé, di cancro non si muore per forza. Cioè, si muore ogni tanto, forse qualche volta, magari anche di più, però non è che ti dicono cancro e sei morto. E’ proprio questa la cosa che fa paura, questa equazione: soprattutto a chi non sa bene, a chi non vuole leggersi tutte le informazioni, e si accontenta di ascoltare quello che dici tu, e che invece io cerco di contraddire da…mmm…un paio d’anni. Perché ai Caraibi ci voglio andare, e voglio pure restare allegra, e non soffrire, grazie, però ecco, la sequenza logica mi è sembrata cura-vacanza, e adesso che ci penso, perché ho passato l’estate in Liguria e non ad Aruba?
Grazie per la segnalazione al sempre attento Mapo, che è stato abbastanza astuto da non farsi convincere a prendere il biglietto per il concerto di Torino.
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