Lo so che tanti di voi si stanno facendo mille domande preoccupate su come mi sento senza una gamba, su quanto possa essere difficile affrontare una mutilazione così devastante, accettarsi con un aspetto fisico tanto strano e diverso e le nuove, enormi cicatrici che deturpano ancora una volta la mia pelle.
È un lutto da accettare, una nuova immagine di sé da costruire, magari può servire un supporto psicologico, bisogna ritrovare l’equilibrio…
Ohé, smettetela!
Apprezzo sinceramente la vostra preoccupazione, ma è sprecata: pigliate tutto il repertorio di psicologia da bar e riportatelo al bar.
Zero.
Niente.
Nemmeno un po’.
I miei pensieri e le mie preoccupazioni riguardo l’amputazione sono solo ed esclusivamente di tipo pratico.
La cicatrizzazione delle ferite, il rischio di infezione, la vascolarizzazione del moncone, come stare seduta, alzarmi, usare il WC, camminare, fare le scale…
Nient’altro, davvero.
Il problema di perdita di immagine è totalmente estraneo al mio DNA e non ho il benché minimo senso di identificazione con quella o altre parti del mio corpo, a parte il cervello, per cui non mi sento nulla di meno, o di diverso, rispetto a ciò che ero prima.
Anche senza un pezzo sono sempre io, mi riconosco benissimo e mi accetto tanto quanto prima. Ho sempre un seno troppo grande e cadente e le spalle strette, per dire.
Chiaro che avrei preferito poter restare intera, camminare su due gambe è più comodo che su una, ma ho perso qualcosa solo dal punto di vista funzionale.
Emotivamente ed intellettualmente, cioè per tutto quanto mi qualifica come persona, io sono intera.
Ora vedo almeno un paio di teste annuire con l’aria saggia di chi sa: “Eh sì, adesso dici così, poi prenderai consapevolezza e arriverà la batosta!”
Sottotitolo, con aria compiaciuta: “E io sarò lì a dire che te l’avevo detto“.
Se siete i proprietari di quelle teste, uscite dal mio blog e dalla mia vita, non vi voglio intorno.
Ognuno reagisce a suo modo alle situazioni difficili e ogni reazione è parimenti legittima. La mia non è giusta né sbagliata, non è ostentazione di diversità, non è nemmeno una scelta: è semplicemente quello che mi viene naturale. Se vi sembra impossibile, non è un problema mio, se mi volete uguale a voi, avete sbagliato indirizzo,se sperate di assistere al mio crollo, andate a fare gli avvoltoi altrove.
La batosta arriverà, sicuramente. Magari sarà la prima volta in cui non riuscirò a raccogliere qualcosa da terra. Sarà un momento, o saranno molti, in cui piangerò per la frustrazione. Ma sarà la frustrazione di non poter fare, mai quella di non essere.
Il post originale qui.