Magone, muso lungo, fatica a parlare, fatica a pensare. Due settimane passate così, in quasi totale apatia. Per cercare di reagire, un paio di pomeriggi fa mi sono costretta a mettermi alla macchina da cucire: ci sono i lavoretti di Natale a cui pensare. La macchina da cucire, col suo “ton-ton-ton” ritmico e l’attenzione che richiede nell’essere adoperata, è sempre stata tra i miei anestetici più potenti (assieme al ron-ron dei miei gatti, alla musica barocca, al coro, a Orgoglio e Pregiudizio in tv e al tavolino da make-up).
E invece niente. Due ore lì a fissarla, a fissare l’ago fermo illuminato dalla lampadina sovrastante. Lo sguardo che passa inerte dall’ago al piccolo ferro da stiro posato sul bancone della cucina, immediatamente alla mia destra. Un quarto d’ora netto di lavoro-lavoro in due ore, spezzettato in più frammenti di uno, massimo due minuti l’uno. Nella testa, il vuoto. L’unico pensiero che riuscivo a formulare: “se inizio a cucire devo fare un gaso (leggi: cucitura diritta nel mio dialetto) e devo alzarmi per aprire gli orli dei lembi cuciti e appiattirli col ferro da stiro, un gaso e una stiratura, un gaso e una stiratura, un gaso… Ad ogni passaggio alzarmi, girarmi e fare un passo, ad ogni alzata dalla sedia dolore ai femori, fitte, e di nuovo dolore e fitte nel risedermi. Una, dieci, venti volte. No, non… no”.
Pomeriggi così. Giornate tese, con l’attacco d’ansia sempre lì lì per partire. Tre attacchi di cervicali in cinque giorni, qualcosa vorranno dire. Senza capire il perchè. Senza trovare il nodo da sciogliere nei meandri della mia testa, nella mia gola. Lo stomaco chiuso. Zero voglia di uscire. Zero voglia di intrattenere una qualsivoglia conversazione con chiunque. Nemmeno con mio marito. Messaggi whatsapp ricevuti e bellamente ignorati. Richieste di aiuto e di sfogo sul mio gruppo bellamente ignorate anch’esse, tranne quelle di determinate persone che usano quel garbo che non mi fa mai sentire “ad uso discarica”.
L’apatia.
Poi l’incontro con la psicologa. Giri e giri di parole su discorsi che non c’entravano apparentemente nulla con il mio problema di ansia: il Power, il Power e la scuola, il Power e le nostre litigate quotidiane tra mamma e adole-coso. Non volevo parlare di me. Non ho voglia di parlare di me con nessuno. Cosa c’è da dire? Le cure vanno avanti, i capelli li ho, devo spiegare un’ansia che io stessa fatico a decifrare e sperare anche di essere capita? No, quella fatica non la voglio fare.
Però arriva quella parola buttata lì, come per caso, che fa esplodere tutto. Una esplosione violenta, breve ma intensa, che fa cadere il muro, che fa capire tutto. Una esplosione di rabbia pazzesca. Una rabbia che non sapevo di avere.
La parola “GABBIA”.
Quella gabbia in cui mi sento incastrata, come era incastrata nel muro la mia Maya stanotte nel sogno. Ho sognato Maya incastrata nel muro, un sogno orribile. E io piangevo e urlavo perchè non riuscivo a liberarla da lì, chiamavo aiuto e non arrivava nessuno, dovevo scavare nel muro con le mie mani nude, e non ci riuscivo, e lei miagolava, chiamava aiuto. Mi spellavo le dita, mi staccavo le unghie, ma non serviva a niente.
Maya, la mia gatta tigratona, quella che si crede (secondo me) un cane, perchè mi sta sempre appiccicata ovunque io mi muova, e piange se la chiudo fuori dal bagno quando devo… beh, quando sono in bagno. Maya, la mia ombra.
Maya non a caso era nel sogno. Maya ero io.
Paradossale come una sola parola, se quella giusta, quando riesce ad uscire faccia rimettere in moto una macchina da cucire e la faccia lavorare ininterrottamente per due ore.
Non solo. La fa smontare, ripulire fin dentro i più piccoli ingranaggi raggiungibili da pennelli pennellini e pinzette, rimontare, passare con panno in microfibra imbevuto di candeggina e sgrassatore su ogni parte esterna lavabile e sul coperchio. Lavoro che non facevo da boh, due o tre anni di sicuro, e comunque mai con questa cura certosina. E l’ha anche fatta decorare con quello che mi ha suggerito lo sghiribizzo del momento: tessuto doppiato con nastro biadesivo e qualche cuore di legno.
E rimetta in moto una lingua incollata al palato dopo due settimane.
Ps.: ho rifatto il prelievo di controllo ieri. Sono ancora neutropenica, neutrofili in discesa, dai 2700 di due settimane fa agli attuali 2300. Non così bassi da dover interrompere la terapia o fare i fattori di crescita, ma sufficientemente bassi per mantenere le precauzioni igieniche atte ad evitare malattie stagionali o infezioni di qualsiasi genere. Gli eventuali antibiotici che dovessero rendersi necessari, con la terapia che sto facendo, cozzano.
Il post originale qui
Che strano.
Mi arriva una notifica, ma era di moltissimo tempo fa, quando ero fuori. lascio un commento e mi rendo conto che è vecchissimo…ma il messaggio che ho lasciato qualche tempo fa che fine avrà fatto? mha!
Comunque ti posso solo dire di farti forza, e cuci, un modo per non lambire nell’inerzia, io lo facevo, anche quando i miei piedi non i davano retta, il pedale sembrava una montagna, ora lo faccio ancora.
Ti abbraccio.
💋❤