Se le parole servono

Ogni tanto mi arriva una mail da compagne di sventura che capitano sul blog perché magari hanno cercato informazioni su qualche aspetto della malattia, o della cura, e leggendo la mia storia poi sentono il bisogno di raccontarmi la loro. Mi ricordo che quando è nato il mio karma, avevo riflettuto sull’idea di poter aiutare, raccontando la mia esperienza, altre donne che ne stavano attraversando una simile. Però avevo tutto alle spalle, erano passati i fatidici cinque anni e stavo proprio bene. E così lasciavo dipanare solo a tratti la matassa del filo grigio dolore, di quello giallo rabbia, e del nero paura.

Da novembre è cambiato tutto, e mi rendo conto che adesso l’aspetto che più interessa o incuriosisce chi mi legge è proprio questo. Come sto, come vivo quello che mi succede, cosa faccio per guarire, quali sono le mie armi. Come si vive così. L’ho detto e scritto tante volte. Sei anni fa ero certa che non rischiavo la vita. Sei anni fa la malattia era solo un ostacolo a realizzare certi sogni, era una bestiaccia domabile, che lasciava segni sul corpo, come ultimo sfregio prima di sparire. Ora la malattia è la bestia che fa paura, atterrisce. Ora il senso del pericolo c’è. Ora continuo ad avere fiducia, a immaginarmi nel futuro, però è cambiata la prospettiva. Non ci sarà un altro figlio? Chissene, ce n’ho una meravigliosa. Bisognerà mettere le ovaie a riposo (e forse stavolta definitivamente)? Grrrrrrr, sarò isterica, ingrasserò, e la mia libido subirà un tracollo. Ma ricomincerò a fare yoga sul serio, e ogni giorno un quarto d’ora di Qi Gong energizzante. Così l’umore sarà sotto controllo, resterò in forma eccetera eccetera. Però resta la consapevolezza del pericolo, del rischio altissimo. Altro che statistiche dei cinque anni. Adesso davvero so cosa significa aspettativa di vita. E so che non abbasserò mai la guardia.

“Mi piacerebbe poter scambiare le sensazioni e le emozioni” mi ha scritto oggi una donna che ha finito da pochi mesi la chemio, e che ancora ne soffre le conseguenze collaterali. Lamentando la disumanità della chemio ha citato i versi di Primo Levi “considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno…” Allora ho ripensato alla prima volta che mi sono guardata allo specchio con i capelli rasati, sei anni fa, e quando lo faccio ora, di nascosto da Lula.  Sì, fa un po’ campo di concentramento, è vero. Però non bisogna dimenticare che il nostro aspetto non proprio sano è conseguenza dei farmaci che ci stanno curando, o che ci hanno curato, e Zeta avrebbe un tracollo se lo paragonassi a un kapò nazista…

Si avvicina il mio compleanno e Lula vorrebbe che facessi una festa (l’anno scorso non l’ho fatta, ero presa dai preparativi matrimoniali), invece sarà meglio aspettare la cifra tonda l’anno prossimo. Con i capelli che saranno ricresciuti riccetti, la cicatrice schiarita, e molta voglia di ballare. Un gran festone per i miei primi quarant’anni.

 

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2 risposte a Se le parole servono

  1. michela ha detto:

    Domani,oggi ormai sono troppo stanca,però sono quasi solo donne che scrivono….è forse la nostra natura che ci porta a parlare più apertamante,chissà,buonanotte e sogni d’oro

  2. viola ha detto:

    ecco questa è una vera testimonianza di realtà che scrive Giorgia. altro che “ho dovuto avere il cancro per riflettere sui veri valori della vita e quindi ora vivo “quasi” meglio”. noi siamo sempre a rischio. ed è meglio tenere altissima la guardia poichè “l’alieno” potrebbe approfittarne della nostra eccessiva positività.
    INVINCIBILI ma sospese.

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