E’ passato quasi un anno dalla diagnosi della malattia. Ed è passato quasi un anno da quel giorno in cui mi proposero di fare il test genetico.
“Potresti fare la mappatura genetica, se vuoi. Non ci sono casi di tumore alla mammella nella tua famiglia, ma se vuoi farlo…”
Accettai, sicura che non sarebbe emerso niente di che.
E invece, di lì a poco, scoprii di non avere il cancro, ma di “essere cancro”. Ho una mutazione genetica, il mio DNA è impazzito. Ho una predisposizione genetica al tumore al seno e alle ovaie. E non mi vergogno a dirlo.
Posso averlo ereditato da mia madre. Posso averlo ereditato da mio padre. Oppure posso aver fatto tutto da sola, in fase di sviluppo embrionale. Chissà… Mi è sufficiente sapere che sicuramente non l’ho ereditato da mia madre.
Ho parlato con due commissioni genetiche: Pisa e Genova. Mi hanno spiegato tutto. Ho chiesto tutto. So tutto. So cosa vuol dire essere mutata. So che cosa implica. So che cosa mi aspetta. So perché mi è venuto il cancro. So rispondere a tanti perché.
E ho deciso: farò la mastectomia profilattica controlaterale.
Che cosa vuol dire?
Mi hanno tolto il seno sinistro, no? Ok, toglietemi anche il destro, abbassatemi la percentuale di possibilità che mi torni il cancro al seno. Togliete, svuotate, levate.
Alle ovaie ci penserò più avanti, adesso le lascio stare, abbandonate al loro letargo, ma il seno toglietemelo.
Non voglio un altro tumore. Non voglio altri undici cicli di chemio. Non ne voglio nemmeno uno.
Prendetevi la mia femminilità, prendete la miglior parte del mio corpo, prendetevi la possibilità di allattare un figlio, prendete tutto.
Sono sicura, decisa, convinta.
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