Un concorso sulla scrittura del cancro: il soggetto sembrerebbe uno di quelli che meno ispirano. Eppure è stato un successo: l’occasione perfetta per i protagonisti diretti o indiretti di storie di malattia di mettere a nudo per un attimo taboo altrimenti nascosti.
Quando aprii il blog mi sentivo divisa: se il fatto di aver sempre tenuto un diario online e l’istinto di farlo anche per la malattia legittimavano il bisogno di scrivere, la neccessità di esporre e ridurre al minimo i filtri su una parte della mia vita mi impaurivano. Terrorizzavano, intendo. Non potevo fingere: per onestà verso chi mi conosceva e per dovere verso chi mi leggeva alla ricerca di informazioni. Poi ho iniziato e non mi sono più posta molte domande.
Ora, leggendo le storie di altri, ho ritorvato gli stessi dubbi e gli stessi pudori.
Alcune sono state raccontate molti anni dopo. Alcune troppi. La minuzia dei dettagli rivela come queste storie siano giaciute silenziose e intrappolate, non raccontate, ma intatte, bisognose di essere liberate. Alcune sono state scritte per ricordare cio’ che si è passato, una tappa su cui ci si è inevitabilmente costruiti, anche tramite quello che si è perso: un seno, l’amore, i primi anni di un figlio – le vittime del cancro non contabilizzate nella cartella clinica. Servono ad aprire una prospettiva sul futuro: la coscienza della propria mortalità, vissuta con le paure che restano. Servono a non dimenticare e a spiegare a figli, amici, genitori e sconosciuti un percorso che è difficile affrontare a voce, che l’imbarazzo porta a minimizzare.
Alcune raccontano la scomparsa di qualcuno: e allora la malinconia della scrittura rende omaggio a un compagno di viaggio che vive nei ricordi e nelle parole. E aiuta chi scrive a capire l’esperienza che ha vissuto, a riappacificarsi con se stesso, con il senso di colpa per non aver fatto abbastanza e con quello per essere vivo.
Le più belle narrano un percorso, un cambiamento; parlano di dolore e di come lo si affronta. Della malattia e dell’andare oltre: che non vuol dire per forza guarire, ma vivere più forte.
Si legge anche qui.
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