La gestione del rischio (risk management) è il processo mediante il quale si misura o si stima il rischio e successivamente si sviluppano delle strategie per governarlo. [Wikipedia]
Sono un’ingegnere e una professionista dell’organizzazione aziendale: il concetto di risk management è praticamente il mio pane quotidiano.
Forse per questo già a febbraio, nel momento esatto in cui il chirurgo mi ha detto che la massa rimossa era maligna e ha parlato di “addome lipomatoso”, il mio cervello ha iniziato a valutare i rischi. Non quelli relativi alla mia salute, rispetto a cui le mie possibilità di intervento sono piuttosto limitate, ma quelli collegati al mio atteggiamento.
La terza diagnosi di cancro non ti scivola addosso facilmente. La quarta ancora meno.
Soprattutto quando ti dicono chiaro e tondo che sarai una paziente oncologica per tutta la vita, sempre a rischio, perché nelle eliche attorcigliate del tuo DNA c’è un filo di pazzia che potrebbe uscire in qualsiasi momento. Che andrebbe anche bene se significasse solo fare controlli ogni tre mesi per i prossimi cinquant’anni, ma potrebbe anche voler dire tornare sotto i ferri ancora chissà quante volte, nei prossimi cinquant’anni. Ammesso di averli, altri cinquant’anni. O almeno trenta. Venti. Dieci. Cinque. Due.
Il mio oncologo è ottimista rispetto a questa recidiva: forse anche questa volta riesco a sfangarla.
Le mie cellule però sono bombe a orologeria e non c’è modo di sapere se e quando scatterà il timer né quanto forte sarà ogni esplosione: un petardo oppure una bomba atomica, un lipoma relativamente innocuo o un letale sarcoma metastatico.
La possibilità di cedere all’idea di essere malata – lo ammetto – è una tentazione sempre dietro l’angolo.
Dopo tutto, perché dovrei continuare a essere forte? Perché faticare sempre per resistere, dal momento che la vita sembra non voler smettere nemmeno per un attimo di prendermi a bastonate?
Forse sarebbe più facile rintanarsi in un angolo, rassegnarsi ad una aspettativa di vita breve e tirare i remi in barca. Smettere di lavorare, lasciare ogni impegno, allontanarmi da tutte le situazioni sgradevoli e dalle persone moleste e concentrarmi su me stessa, dedicare il mio tempo soltanto a ciò che mi fa stare bene.
Oppure c’è l’atteggiamento opposto: il rifiuto.
Comportarsi come se la malattia non esistesse: continuare a fare tutto come prima, iniziare progetti a lungo termine, accollarsi nuove responsabilità, mantenere il ritmo, restare sempre attiva. Cancellare il cancro dalle mie conversazioni, chiudere il blog, fare altro, pensare ad altro.
Ognuno di questi atteggiamenti comporta rischi, ognuno offre opportunità.
Ogni giorno, ogni momento devo trovare il delicato equilibrio tra questi due estremi, inventare strategie per non cedere né da una parte, né dall’altra, per andare avanti rimanendo, più possibile, sul filo sottile della serenità.
Il post originale qui.
Ho scoperto adesso il tuo blog, ho letto ancora poco, ma una cosa mi stupisce, il coraggio.
Io nel mio provo a strappare un sorriso, tu nel tuo mi stai trasmettendo il coraggio.
Grazie e complimenti, davvero!
Grazie a te, Marta!
AhahH….io sono un responsabile della sicurezza sul lavoro…posso dire che gestire il rischio è il mio mestiere…mi ha cambiato questo lavoro…e ogni giorno sono sconcertata di come molte persone approccino le cose senza accendere il cervello….
Pensa se analizzassero le cose con la lucidità con cui lo fai tu… 😞.. Grazie…
Grazie a te!
Arrivo or ora nel tuo blog dopo una serie di equivoci. Non voglio dire niente per ora perchè correrei il rischio di essere banale. Mi limito a salutarti e a preannunciarti la mia presenza qui di tanto in tanto. Ho voglia di leggerlo questo tuo blog. Ciao. 😉
Sei la benvenuta!