Arrivo in ospedale in orario…e vorrei vedere, grazie al braccio dolorante dormo venti minuti per notte.
Tutto inizia come nei migliore dei sogni: l’HEGP è bellissimo, trasparentissimo, con le chaises longues vista giardino per l’attesa, la musica in sottofondo e, quando mi hanno dato un peignoir bianco per cambiarmi, ho finto di essere in una beauty farm.
Solo che il massaggio non è stato esattamente di mio gradimento.
Niente tranquillanti. Nemmeno un sonnifero? No. Volevano fare conversazione, il mio medico e la mia infermiera. Sono italiana, abito a Parigi, sì mi piace, sì voglio restare. Ora posso avere un sonnifero? No.
Iniziano. Ahi. Mi sembra di essere un po’ troppo sensibile. Un’altra puntura e un’altraunaltraaltratrarara. Basta. Inizio a piangere desolatamente mentre l’infermiera mi tranquillizza raccontandomi delle scarpe che sua sorella si è comprata quando è andata a Milano per i saldi. Dieci anni fa. Mmm. Interessantissimo. Mi calmo, che magari è più utile al chirurgo che a me. Quanto dura? Ancora una mezz’ora. Ma perché io avevo capito dieci minuti in tutto???
In sala di risveglio l’atmosfera da health center mi riavvolge, con le riviste di design e la colazione con le madeleines, ma ormai non funziona più. Voglio andare a casa. Casa casa casa.
Ore 13.00 “Signorina, il suo catetere venoso è stato inserito, nessuna complicazione, può tornare a casa”. Halleujah.
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