Lunedì ho iniziato a fare i conti con l’imbarazzo. L’imbarazzo di andare al mercato col berretto in un giorno in cui nessuno l’aveva, visto che c’era il sole e faceva pure caldino. Io col mio berretto che diceva al mondo che ho freddo alla testa, calato su un ciuffo che non esiste più perciò con la fronte simile a quella del cicciobello. E io con gli sguardi che mi sono sentita addosso, che forse non erano tutti di compassione ma magari qualcuno notava solo il berretto che stava un po’ stretto, o forse che era carino, o esageratamente orrido. Io l’ho vissuta male. E dire che non sono calva. Ho solo i capelli rasati a un centimetro, radi sulla cima della cabessa, che se mi guardi da davanti si e no che ti accorgi che sono metà di quelli che c’erano due settimane fa, ma io che so metto un filtro a quello che mi circonda e interpreto (il cinquanta per cento delle volte, ne sono certa, male) gli sguardi ho avuto la tentazione di scappare a casa per non uscire mai più, o almeno finchè tutto non sarà tornato come prima qua sopra (e se basta un anno va anche bene).
Adesso non mi si venga a dire le soltie cose: che è un periodo che passa, che non è niente di grave, che assomiglio alle star di Ollivud, NON ME NE FOTTE UN CA’. L’imbarazzo non è una cosa che se ne va con l’uso della ragione altrui, non si mitiga con le cacchiate (e scusate) del tipo “l’ha avuto mia cugina, passa, ora sta bene, ti capisco”. Intanto non capisci una cippa, perchè puoi capire quello che passa mio cugino o mio fratello ma se non te lo sei vissuto addosso (e non te lo auguro) non capisci quello che mi porto dentro nemmeno a ravanarci per una settimana. Secondopoi se tua cugina ora sta bene mi fa piacere per lei, sono felice di sapere che se ne esce, ma ora ci sto io, ci sta Widepeak, ci sta Camdem, ci sta Mia, e Ziacris, e per altri versi Nevepioggia, ce ne stanno tante altre, migliaia di altre. Quelle che sanno cos’è l’imbarazzo. Quelle che sanno che non basta sentirsi dire “fregatene degli sguardi altrui” per fregarsene, perchè il lavoro interiore te lo devi fare tu e tu sola, e non è come accendere la luce in bagno.
IL fatto è che ho perso la voglia di farci dell’ironia. Ho perso la voglia di scherzarci sopra, ma anche quella di parlare di cavolate, di perdermi in chiacchiere che non servono a niente, non mi va più di parlare. Quello che ho voglia di fare da giorni è solo stare con me stessa, esternare l’indispensabile, lasciar correre ciò che non serve, che non ha peso, non mi va più di guardare al mio tumore come a una cosa o positriva o negativa e annunciarne al mondo le riflessioni più o meno profonde che ne escono. Sono stanca. Stanca anche di parlare di sciocchezze o di problemi che non mi riguardano. Non mi va più. E non è che sto male, che sono depressa, solo ho voglia del mio silenzio.
E poi c’è stato il bizzarro incontro di ieri. Santa subito la donna che mi ha venduto tre cappelli alla bancarella del mercato. E’ una bancarella che vende solo ed esclusivamente cappelli, di ogni foggia e colore, centinaia di cappelli. Mi sono avvicinata a tanto bendidio, con una certa dose di appunto, imbarazzo. Mi ha chiesto come poteva aiutarmi, non sono riuscita a finire la frase “sa sto per perdere tutti i…” che lei ha capito al volo, mi ha portato in un angolo dove teneva lo specchio e mi ha tirato fuori DI TUTTO, spiegandomi che dovevo coprire le orecchie, non prendere il sole, e se avessi avuto bisogno di qualcosa senza nessun problema dirlo a mio marito, lei gli avrebbe dato una quantità di cappelli da provare a casa per poi farsi riportare solo quelli che non tenevo la settimana successiva. Il tutto, siore e siori, con un’allegria, una simpatia, nessunissimo accenno al dramma, tanto che mi sono divertita un mondo. Ce ne vorrebbero di persone così. E sono certa che di persone come me deve averne servite una quantità industriale quella donna.
Cosa ho preso? Beh per ora niente foto, non ho avuto il tempo di farle. Ma ho portato a casa un cappello in feltro leggero da mezza stagione col frontino color prugna, piuttosto elegante. Uno in paglia blu con fiocco in tela dietro sempre blu, con il frontino a unghia. Uno in tela di cotone nei toni dell’azzurro, con le tese corte tutt’attorno. E dulcis in fundo uno a tese larghe in paglia, da usare in giardino, con un nastro giallo dietro. A fianco al cappello in lino color corda e bandana corta che mi ha regalato mia cognata, fichissimo, direi che fino a quest’autunno sono a posto. Bandane comprese. E’ uno dei lati positivi di questa faccenda.
L’altro è che non ho mai visto Papigà spendere così volentieri cinquantacinque neuri per qualcosa di vezzoso.
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