Albicocche

Ho imparato che il dolore rende più fragili. Ho imparato che il dolore rende più duri.

Ho capito che la sofferenza ci rende delicatissimi come la pelle delle albicocche, vulnerabili e reattivi alle sofferenze degli altri che poi si capiscono e si incorporano, sentendosele tutte addosso come un graffio sulla buccia. Di ogni essere vivente, di ogni cellula. Ho imparato su di me che ogni emozione si amplifica e ogni reazione si estende, che le superfici si fondono e che il dolore è sempre plurale. 

Un frutto marcio passa il suo marcire ai frutti vicini. Succede così nei corridoi degli ospedali, nelle sale d’aspetto, e in tante altre stanze della terra, dietro tanti occhi, sempre.

Poi ho imparato che cresce il nocciolo, che sotto la polpa è ruvido e amaro, e deve essere proprio ruvido e amaro per sostenere l’aranciomorbido del fuori, per tenere insieme tutta quella polpa. Forse l’amaro non è buono, forse il nocciolo ferisce la lingua con le scaglie, perché forse il dolore rende ruvidi, scartavetra i sentimenti, lascia solchi in cui far scorrere tutto quello che non si è più disposti a tollerare. L’arroganza, le piccolezze, le cazzate, la rabbia, le invidie, le ripicche, le stupidità, i rimpianti. 

Buon appetito.

 
L’articolo originale lo trovate qui 
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Una risposta a Albicocche

  1. piccolavale ha detto:

    Ben arrivata! sono felice di leggerti anche qui. Sicuramente il nostro vissuto ci rende proprio così: più fragili e più forti contemporaneamente!

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