Ieri sera non riuscivo a dormire e ho visto sulla pagina Facebook di Romina quest’articolo.
Ho preparato una camomilla e, in attesa che la fitoterapia producesse i suoi effetti, ho letto l’articolo. Articolo che potreste leggere anche voi, oppure potrei riassumervelo io: donna, cancro al seno, rifiuto di chirurgia e chemioterapia, cure alternative, morta.
Ora, visto che la camomilla continuava a non far effetto, ho deciso di ingannare il tempo facendo due considerazioni:
– Uno: sarà che ormai bazzico nel fantastico mondo del cancro da parecchio tempo, ma questa non è la prima storia del genere che mi capita di leggere. Qualcuno, nei commenti dell’articolo, ha sottolineato : ‘Proprio per questo è utile ricordare‘.
Già. Ma con tutta l’utilità del ricordare, questa non sarà nemmeno l’ultima delle storie del genere che leggerò. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi come mai, per alcuni malati, le terapie alternative restino preferibili alla chemio. Tutta colpa di Google?
– In effetti, la seconda considerazione è sulla conclusione del post:
‘un avvertimento è d’obbligo: le cure che funzionano le trovate in ospedale, non su Google‘.
Non va molto di moda dirlo, ma io e Google siamo amicissimi, anzi, è uno dei miei migliori amici. Forse non ha la cura che funziona per il cancro, però mi spiega che cos’è; mi spiega anche come si cura e in che ospedale. O al di fuori dall’ospedale. A volte non è affidabile, ma nessun amico lo è sempre al 100%. A volte gli credo. A volte no. A volte non vorrei credergli, ma non so a chi altro chiedere.
E il punto è proprio questo. Se ho un problema, chiedo aiuto a chi ne sa più di me. Se non so a chi chiedere, chiedo a Google: è una fonte ricca, un mezzo di contatto, un luogo di sfogo.
Il problema vero è quando Google è l’unico interlocutore, perché il rischio di deriva antiscientifica ‒ bufala, come dice Julia ‒ è in agguato.
E perché allora non chiedere ‒ e credere ‒ ai medici?
Kim – così si chiama la protagonista della storia – ha consultato 4 dottori, e tutti le hanno consigliato chirurgia e chemio.
Tutti i malati che scelgono le cure alternative si sono prima rivolti alla “medicina tradizionale”, se non altro per avere una diagnosi.
Se poi fanno scelte stravaganti, è perché esercitano consciamente il loro diritto di scelta? O perché della loro diagnosi, e della cura che segue, alla fine non ne hanno capito molto? E che, per saperne di più, si ritrovano a googlare la loro malattia?
Invece di puntare il dito sull’unica ‒ o la più disponibile ‒ delle fonti a disposizione del paziente, non sarebbe il caso di chiedersi quali fonti alternative di informazioni esistano e in che modo possano essere più efficaci?
Un malato di cancro, a chi dovrebbe porre domande come: in che cosa consiste la chemioterapia, mi verrà il vomito e perderò i capelli? A me non l’hanno spiegato i medici: me l’ha detto Google, ed è sempre Google che mi ha suggerito il nome degli altri cancer-blog e che, in fondo, ha contribuito alla nascita di questo posto.
Mi si è accapponata la pelle. Discorso complesso quello che poni, Sissi, ci voglio riflettere…
L’idea infatti è di rifletterci…. (l’accapponamento di pelle dev’essere per il freddo…)
Anche per me è diventato quasi automatico consultare dei siti in rete, anche se ho incontrato un oncologo abbastanza disponibile. A volte, prima di fargli delle domande, vado su Google e cerco di chiarirmi le idee (e spesso smetto piú confusa che mai). In realtá, penso che dobbiamo imparare a fare domande senza timore, ma all’inizio é difficile: si é spaventate, arrabbiate, invase da pensieri di morte, disorientate e fragilissime. Basta un nonnulla per crollare. Io vivo da tre anni questa mia “avventura” (l’ho chiamata cosí anche nel mio blog) e leggendo il tuo post mi sono ritrovata. Purtroppo!
Esatto, cosi dovrebbe essere: informazioni in rete e risposte dal medico…facendo domande, andando oltre il “timore del camice bianco”,e anche il disorientamento, la paura, l’arrabbiatura…facilissimo, no? 😉
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Grazie @Good Intentions per la bella risposta: e se internet diventasse non solo un luogo di scambio tra “chi ci è già passato”, ma anche un mezzo di contatto tra medici e pazienti?
Sarebbe auspicabile, immagino che, almeno per una buona percentuale di persone, me compresa, sarebbe più facile esporre dubbi e chiedere chiarimenti senza ansia da camice bianco. Non può e non deve sostiture la comunicazione faccia a faccia, ma penso che potrebbe essere di supporto.
d’accordissimo!!!
http://thegoodintentions.wordpress.com/2014/12/10/il-percorso-di-cura-tra-google-e-complotti/#comment-4043
d’accordo su tutto quanto scrivi e avete scritto, ma ho pensato: sicuro che se avesse fatto le chemio non sarebbe morta lo stesso dopo 3 anni? Come li avrà vissuti e come li avrebbe potuto o “dovuto” viverli se si fosse sottoposta a chemio? Non lo sapremo mai …
Non lo sapremo mai, naturalmente, ma a cinque anni, la sopravvivenza al cancro al seno non metastatizzato è intorno all’85% (in francese, ma molto chiaro: http://www.cancer.ca/fr-ca/cancer-information/cancer-type/breast/prognosis-and-survival/survival-statistics/?region=on)…
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