Le prime tre settimane di cura

Sono tornate 😁😁😁.

Ciglia, sopracciglia, ogni lineamento del mio viso è tornato a posto. Niente più brutte macchie sulla pelle, solo grigiore, ma ci metto anche un po’ l’età dentro. Ma che soddisfazione la mattina in cui ho rimesso per la prima volta dopo mesi il mascara! Sono talmente narcisista che mi sono segnata il momento così (schiavi dei selfie siamo, anche molti di noi over 40 😂😂😂)

Alzarmi la mattina guardandomi allo specchio e ritrovare la “me” che conosco da sempre, è una bella cosa. Come siamo fatte noi donne… Diciamo spesso che la parte esteriore è l’ultima nell’ordine di importanza delle cose, ma siamo sincere: piacerci ci piace.
Sono ancora gonfia di cortisone, ma ci vuole il suo tempo perchè se ne torni al mittente. Niente dieta ha detto l’oncologo, sotto chemio la dieta non si fa. Niente movimento, perchè purtroppo finito l’effetto del cortisone sono tornati in cavalleria i dolori alle anche e al femore sinistro. Ho ricominciato da circa tre settimane la terapia del dolore, ma ci vuole del tempo per arrivare a dose piena (chi la fa sa che bisogna arrivarci per gradi) e perchè faccia effetto.
Ma pazienza. Pazienza, e stampelle quando devo percorrere a piedi più di una ventina di metri. Ormai ci ho fatto l’abitudine, ma dagli sguardi delle persone credo siano gli altri ad esserne più sconcertati o spaventati (impietositi?) che non io. Per me sono un mezzo come un altro per essere il più autonoma possibile e per agevolarmi le cose, al pari dei miei occhiali.

La chemioterapia nuova. Eh, ho iniziato la quarta settimana e ho scoperto il giorno prima del controllo di venerdì scorso che per le prime tre settimane ho fatto una cazzata: ho sbagliato i dosaggi. Sul referto era scritto “40mg di Viorelbine (2cp da 20mg) il lunedì, mercoledì e venerdì”, ma nella mia testa avevo registrato “una cp da 20mg”. Quando me ne sono accorta, giovedì sera, sono andata in panico. Il pensiero faceva l’altalena da “oddio adesso il tumore ha ripreso a crescere” a “da domani devo prendere la dose giusta e chissà quanto vomiterò!”. Stare tranquilla? TranquillissimAHAHAHAHA 😱
Ormai quello che è fatto è fatto. Ho iniziato la dose giusta e per ora (sono passati solo due giorni) tutto in regola. Per il resto non so che dire, se non che mi stanco molto facilmente e devo perciò dosare le forze e frammentare i tempi di lavoro e di attività in genere. Per ora altri effetti collaterali non ne ho.
Ogni tanto, in particolare quando faccio le Navelbine, capita una mezza giornata così

Ma finchè va così ok, penso che tutto sommato posso prendermela comoda senza fare del male a nessuno, non ho bambini piccoli a cui cambiare il pannolino o da ritirare all’asilo o capricci da sedare. Sono fortunata? Oh yes. Nel contesto lo sono.

Sono stata a visita oncologica venerdì, l’altro ieri. Ho ancora le analisi del sangue sballate con un pot-pourri di segni “<“, la cosa più rilevante è che sono ancora neutropenica. Non tantissimo (ho i bianchi sui 2.700 e qualcosa), sicuramente è lo strascico della chemio precedente finita troppo poco tempo fa perchè il midollo si sia ripreso al cento per cento. Mettiamoci poi la chemio attuale che ci aggiunge il suo carico. Il prossimo controllo è previsto per il 22 novembre (con prelievo il 21), ma a metà strada (il 7 novembre) è necessario un prelievo di controllo, e nel caso fare una stimolazione del midollo (siccome non ne ho fatte a sufficienza… vabbè). Lo stesso giorno approfitto per farmi lavare il Port-a-cath.
L’oncologo dice che devo riposare quando possibile e il più possibile, non posso fare altro per aiutare il mio fisico a sostenere la cura: mangiare bene e riposare. E a me questa cosa fa montare la rabbia quando ci penso. Ho nostalgia, una enorme nostalgia di qualcosa che non avrò più, mi sento incastrata in un corpo che fatico ad accettare. Però c’è da dire che ho dalla mia parte risorse che mi permettono di non limitarmi a guardare il soffitto, le mani vanno di continuo e creano, scrivono, giocano con lo smartphone, chattano con le amiche, la noia non è uno status che mi appartiene.  Come si dice, bisogna fare di necessità virtù.
Sono sempre nervosa, sempre tesa, e spesso faccio pensieri negativi. Non so quanto di questo persistente nervosismo sia da attribuire ai farmaci e quanto allo stress di due anni di camminata su una corda sospesa, sempre nel tentativo di mantenere l’equilibrio bilanciando l’asta che tengo fra le mani. C’è anche da dire che nelle ultime settimane in famiglia (non direttamente in casa, per fortuna) si è venuta a ricreare (si, perchè è il bis di quanto successo circa un anno fa o poco più) una serie di situazioni molto pesanti, che mi hanno abbassato al minimo storico il livello di tolleranza delle lamentele altrui per emerite cazzate. Ho tenuto dentro per più di un mese un groppo enorme. Ho chiuso chat, ho evitato contatti con determinate persone, ho inventato scuse per non rispondere a certe telefonate. Ho smesso di essere sempre quella che deve capire, scusare, lenire. Ho anche urlato, alla fine.

Ieri mattina mi sono svegliata piangendo, pensando a tre amiche in particolare che non ce l’hanno fatta, e alle quali ho voluto un bene immenso. Vorrei avere la loro forza, il loro coraggio. Il resto del pensiero che ho fatto lo tengo per me, perchè non è bello da scrivere. Sfogare il pianto, però, mi ha aiutato a tirare fuori anche il resto: “morirò, ma non oggi di certo”, e questo mi ha fatto scendere dal letto e iniziare la giornata.

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Cedimento

Marmot_66 Ho cercato di resistere fino a metà pomeriggio, poi ho dovuto cedere.
Gli attacchi delle formiche fantasma sono stati pesanti per tutto il giorno: un dolore di base, di livello 3/4 su una scala da 0 a 10, su cui si innestavano morsi di livello 8/9 di breve durata, ma sempre più frequenti, ogni pochi minuti, ogni pochi secondi.
Verso le cinque del pomeriggio, con le lacrime agli occhi, metà per il dolore e metà per la rabbia, ho chiamato l’infermiere e ho chiesto l’analgesico.
Ha funzionato, ma non come speravo. Il dolore non se n’è andato, è solo diventato più sopportabile, gli intervalli tra un morso e l’altro si sono allungati un po’.
Spero che stia cambiando il tempo, così posso dare la colpa a quello. Perché pensare che giornate così possano arrivare senza motivo, non è una bella prospettiva.

Domani ritorno in riabilitazione e mi tolgono lo stent.
Vivo l’attesa con un misto di aspettativa e timore.
Sono impaziente di riprendere il lavoro interrotto, di acquisire tutte le abilità che mi serviranno per muovermi su una gamba sola e di liberarmi dallo stent, che è sempre stato un fastidio.
Però ho paura.
Paura di essere ancora troppo debole, di non riuscire a fare tutto quello che serve. Paura di altri eventi neurologici e/o cardiologici. Paura che la rimozione dello stent non risolva i fastidi addominali. Paura per la febbriciattola che mi porto dietro da giorni. Paura di non riuscire a stare seduta a lungo. Paura di dover convivere per mesi o anni con il dolore dell’arto fantasma.

Accetto anche la paura. Non mi piace, mi costa tanto ammetterla, ma è perfettamente giustificata.
Fatelo anche voi.
Non cercate di cucirmi addosso l’armatura da guerriera, di quella forte, coraggiosa, che non molla mai. Avete idea di quanto sia pesante portare il peso di quell’immagine?
Non devo dimostrare niente a nessuno, non voglio insegnare niente a nessuno, non intendo essere un esempio.
Cerco solo di percorrere la mia strada, che è solo mia e diversa da tutte le altre, un passo per volta. Ogni tanto inciampo, cado, cerco di rialzarmi, qualche volta striscio. Se ci riesco, tengo la testa alta, altrimenti la chino e continuo, ostinatamente.
Ed è già abbastanza faticoso così, non cercate di caricarmi addosso altre responsabilità.

 

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La memoria del dolore

Marmot_66 Una donna non dimentica mai un torto (che ritiene di aver) subito. Mai. Può accantonarlo, anche perdonarlo, ma non se lo dimentica.
Non solo. Di quel torto ricorda ogni dettaglio, circostanza e particolare.
Alzi la mano l’uomo a cui non è mai capitato di sentirsi rinfacciare, magari a distanza di anni, quella volta in cui ha fatto qualcosa di sbagliato. L’uomo, ovviamente, nemmeno si ricorda se all’epoca era all’asilo oppure all’università. La donna invece gli elencherà con precisione assoluta e dovizia di particolari ogni elemento di quell’episodio: giorno, ora, luogo, ognuno dei gesti compiuti e delle parole pronunciate da tutti i protagonisti, le condizioni meteo, il cameriere che assomigliava al cugino Giovanni, la macchiolina sul polsino della camicia che te l’avevo detto di cambiarti prima di uscire ma tu non mi ascolti mai, il colore delle scarpe della signora seduta due tavoli più in là. Noi non dimentichiamo.

Talvolta ho il dubbio che il mio DNA non sia del tutto femminile. Odio lo shopping, ho un eccellente senso dell’orientamento e nessun particolare interesse per borse e scarpe, per dirne solo qualcuna.
Ma la memoria del torto ce l’ho, tutta. Mi ricordo perfettamente la bambina che al primo anno di asilo mi ha preso la palla arancione per saltare, finalmente conquistata appena due minuti prima, dopo settimane di tentativi. E la suora che, alle mie proteste, ha detto che dovevo lasciar giocare anche gli altri bambini. Non sono mai più riuscita a saltare con la palla, dopo.

Da qualche parte, il mio cervello deve aver archiviato ogni dispetto, presa in giro o insulto ricevuto. Ma anche ogni fastidio e ogni dolore provato nei miei cinquant’anni di vita.
Non si spiega altrimenti come faccia ora a ricostruire con assoluta precisione una enorme varietà di dolori nell’arto fantasma.
Dolore sordo, acuto, bruciante, pungente, crampiforme, parestesie, formicolii, fitte, scosse… E riesce anche a localizzarlo con altrettanta accuratezza: sul tallone, al polpaccio, all’alluce, sul collo del piede, lungo l’arco plantare, sulla parte anteriore della coscia, appena sotto il ginocchio…
Un repertorio ricchissimo di cui non ero consapevole, ma che evidentemente è stato memorizzato e ora viene consultato e riproposto con deplorevole frequenza e intensità.
Non immaginavo che sarebbe stato così pesante e doloroso, nemmeno lontanamente.
Non avrebbe fatto nessuna differenza, questo intervento era l’unica possibilità di salvarmi la vita, o almeno di prolungarla, ma se avessi saputo cosa mi aspettava, sarei stata meno ottimista sulla qualità di vita successiva.

Anche se, a ben guardare, il dolore è diventato un compagno di vita per me già da molto tempo. Dopo l’intervento del 2008 ho convissuto per anni con la palla e con le formiche; mi ci ero abituata, ma non significa che non facessero male. E poi di nuovo la neuropatia dopo la radioterapia del 2016. E la frattura spontanea del bacino l’anno scorso. E tutto il calvario di quest’anno.
Ho una notevole capacità di sopportare il dolore; quando rimane sotto una certa soglia, diciamo tre in una scala da zero a dieci, non lo considero neppure, rispondo automaticamente “bene” a chi mi chiede come sto. Ma la verità è che non mi ricordo nemmeno cosa voglia dire non avere nessun dolore, il livello zero.
E le formiche fantasma che continuano ininterrottamente a rosicchiare la zampa fantasma si assicurano di mantenere sempre ben viva la mia memoria del dolore.

 

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Metronomica starter pack

Ed eccoci qui. Io e voi, voi ed io. Le mie caramelle nuove.

(Dove c’è la striscia orizzontale sulla confezione della Capecitabina, sotto c’è scritto il mio cognome. Ebbene si, terapia personalizzata).
Oggi è stata, “sta stando” una giornata particolare ed emotivamente impegnativa. Dopo tre quarti d’ora di preambolo con chi ci ha fatte conoscere, l’oncologo (perchè oh, per ricevere i personaggi importanti bisogna quantomeno documentarsi in anticipo su chi sono e cosa comporta la convivenza), una sosta in sala terapia per fare la puntura della vostra cugina acquisita “Xgeva” e un lavaggio del Port con relativo controllo (da qualche giorno mi dà fastidio, merito di una delle mie gatte che ci ha affondato sopra una zampa di straforo), ci siamo finalmente incontrate. Pochi preamboli, vi siete tolte il cappotto già appena entrate in casa, immediatamente dopo l’ora di pranzo. 
Oggi sono qui in compagnia del pensiero di voi, che da qualche ora state per la prima volta lavorando dentro di me. Fate le brave, per favore. E intendo “andateci piano”, che da quando ho subìto le reazioni allergiche a due chemioterapici in tutti questi anni, ogni volta che incontro un farmaco nuovo sto sul “chi vive” per ore, la testa va, l’ansia fa il suo sporco lavoro e mi impedisce di accettarli dal primo istante come opportunità di guarigione e non di condanna. 
Avrei voluto trascorrere queste ore in maniera diversa: mi ero messa in testa di fare qualcosa di bello per non pensarci, per non fantasticare sugli effetti collaterali che potreste darmi pensavo di mettermi a cucire, fare un po’ di giardinaggio, cucinare, qualsiasi cosa che mi obbligasse a tenere l’attenzione concentrata su altro. E invece sono qui, con la voglia di fare niente, a scrivere di voi. Sto cercando con tutte le mie forze di pensare positivo, di dare all’idea della convivenza con voi un colore che ricordi la vita, quella vita che spero mi aiutiate a preservare. Ci sto quasi riuscendo, sapete. 
Le ore passano, siete dentro di me, non mi state ancora creando fastidi, e vi ringrazio. Ho l’orecchio teso teso verso il mio corpo, per captare la vostra presenza. Ho sonno. Ho tanto sonno, vorrei lasciarmi andare, ma ogni volta che ci provo mi scende una lacrima non voluta, e torno in me. Perchè la consapevolezza di dover dipendere da voi non per guarire ma per provare ad allungare la vita, è ancora difficile da digerire. 
Perciò vi prego, aiutatemi anche voi ad accettarvi nel modo migliore. Fate il vostro lavoro, tenete ferma la Bestia Bis, mostrate al nostro oncologo che la fiducia che ripone in voi è ben meritata. Lavoriamo insieme, voi ed io. 

Ho iniziato oggi Capecitabina e Vinorelbine. Speravo di poter rimandare a lunedì la partenza, il mio oncologo non si fida a lasciarmi scoperta ancora, quindi avanti: tre compresse al giorno di Capecitabina, più una a giorni alterni di Vinorelbine. Devo andare in ospedale a ritirarle una volta al mese (tre settimane solo per questo primo blocco, per vedere come tollero la cura ed eventualmente aggiustarla subito), il giorno prima faccio un prelievo per controllare lo stato del midollo
Da qualche giorno ho ricominciato ad assumere la terapia del dolore. Finito il cortisone un mese fa, il dolore alle anche e al femore sinistro è tornato prepotente. Ci vorrà un po’ perchè inizi a sentirne i benefici, nel frattempo ho dovuto riportare nel bagagliaio della mia auto le stampelle, perchè per qualche decina di metri riesco a camminare in autonomia, di più no.

La prima domanda che mi fanno quando spiego cosa sto facendo è: “per quanto tempo?”. Ovvio. Con la chemio in vena si è abituati a ragionare in termini di “numero di cicli”. Con questa no, non c’è scadenza, o meglio, finisco nel momento in cui la malattia riprende a crescere, e si tornerà al vecchio sistema.
La seconda è “perderai i capelli?”.

NO.

E questa cosa mi fa pensare a quanto nell’immagine comune la chemioterapia sia strettamente legata all’immagine della calvizie. Fortunatamente oggi ci sono chemioterapie che NON fanno perdere i capelli, ma benchè questo sia il problema minore quando si arriva al quarto stadio, questo aspetto della faccenda mi fa pensare “chissà quante altre persone stanno facendo chemio, sono malate di tumore, mi passano davanti ogni volta che esco col loro fardello nel cuore e nel fisico, e non me ne accorgo solo perchè il loro aspetto fisico non lascia trasparire niente. Chissà se vengono credute quando confidano il loro stato a qualcuno cercando comprensione. Perchè i capelli… ah, i capelli… Se hai i capelli stai benone”. Giuro, me lo sono sentito dire più volte.

Sta calando la luce del giorno, sono quasi le 18. Oggi pomeriggio non ho combinato praticamente niente, a parte scrivere e stare mezz’ora al telefono con un’amica che non sentivo da mesi (telefonata che mi ha scaldato veramente il cuore). Ora spengo il PC ed esco a ritirare la biancheria asciutta, stesa stamattina prima di partire per il Little Hospital. Non so nemmeno se la piegherò. Ma oggi non mi sento affatto in colpa per essermi presa queste ore senza nulla in mano (detta da una che non guarda nemmeno un telefilm senza tenere le mani occupate con l’uncinetto, un disegno da colorare o qualche partita a giochi random sul telefono).
Queste ore sono state per me. E va sacrosantamente bene così.

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Parametri che cambiano

Stadiazione finita.
E’ strano come cambiano i parametri per valutare gli esiti dei propri esami a seconda delle prospettive che ci si parano davanti.
Quando fai mammo ed eco, sei felice se gli esiti sono “ndp”.👍
Quando fai mammo ed eco e sei costretta a fare un agoaspirato, sei felice se gli esiti sono “è benigno”. 👍
Quando fai TAC e scinti prima di sottoporti alle cure per un tumore che ormonale non è, sei felice se gli esiti sono “tumore circoscritto al seno, organi interni e scheletro ndp”. 👍
Quando fai mammo ed eco ad un seno solo più diagnostica random dopo aver fatto intervento, chemio, radio per un seno che non c’è più, sei felice se gli esiti sono di nuovo “ndp”.👍 Cioè, non proprio felice-felice, ma fatti due conti te ne fai una ragione, hai portato a casa la pellaccia ed è ciò che conta.
Quando fai controlli ogni sei mesi dopo un tumore al seno e vanno bene, sei felice se l’oncologo ti dice “signora, ci vediamo tra sei mesi solo con emocromo, eco e mammo”. 👍
Quando il cancro ritorna, sei felice quando dopo l’operazione il chirurgo ti dice “signora, abbiamo tolto tutto quello che c’era da togliere”.👍 Cioè, non proprio felice-felice, ma fatti due conti te ne fai una ragione, hai portato a casa la pellaccia di nuovo ed è ciò che conta.

Quando diventi metastatica e sei nella 💩 fino al collo, sei felice quando l’oncologo ti annuncia che dopo cinque mesi e mezzo di chemioterapia con relativi scazzi e smazzi che conosci ormai fin troppo bene, due sedute di radioflash non indolori, litigate col midollo e menate varie (vabbè, non serve che rifaccia l’elenco, che mi tedio da sola), tempo di smaltire l’ultima chemio e di fare la stadiazione per la terza volta in un anno ed averne gli esiti... hai cronicizzato la malattia allo stato in cui era un mese prima di iniziarla, sette mesi e mezzo fa. Avete idea di quanto valgono sette mesi e mezzo per un metastatico da triplo negativo? Spero di no.

Cioè hai il cancro ma non sei peggiorata di un filo da otto mesi in qua.
Non sei guarita. Ma sei felice perchè per ora hai cronicizzato. E mica tutte ci riescono. Troppe muoiono in molto meno tempo dalla diagnosi di metastasi, ma tu sei ancora qui, vedi i tuoi oncologi finalmente sorridere e ridere mentre ti vengono incontro in sala d’attesa, ti dicono “sei stata brava”, e a te viene spontaneo rispondere “siamo stati bravi insieme, perchè io con la mia forza di volontà senza la vostra scienza e il vostro buonsenso mica ci sarei arrivata ad oggi con sole metastasi ossee. Da triplo“. 

Ho cronicizzato, le ossa si stanno riaddensando là dove le metastasi avevano iniziato a mangiarsele, e sono rimasti solo dei lievissimi segni rosei delle recidive cutanee, che quando faccio la doccia sono ancora il motivo che mi impedisce di abbassare lo sguardo mentre mi lavo, tanto è l’orrore che rappresentano.
Era da tanto che non li vedevo sorridere così, i miei oncologi. Quei sorrisi, da soli, sono già il responso.
Sono ancora malata. Ma ho un motivo per essere felice: poteva andare peggio, ma peggio non è andata.

La gente mi vede in foto (cavolo di social…) con la testa ricoperta di capelli che in realtà sono peluria,

fatica a capire perchè giro ancora col turbante, e tu vagli a spiegare che quella peluria grigiastra identica a quella dei neonati 👶 non mi tiene calda la testa una beata ceppa, che i capelli veri arriveranno tra diverse settimane, ma mi dicono che “hai i capelli, finalmente! E’ tutto finito!”.  
NON-SONO-CAPELLI!

E io so che non è finito un cappero di niente, che non finirà mai, ma smetto di dare spiegazioni perchè chi se ne importa… Il problema è mio e me lo sbroglio io. E me lo sto sbrogliando bene, godendomi la libertà dagli effetti collaterali della chemio anche se ancora mi stanco facilmente e il dolore ad alcune articolazioni ha ripreso a farsi sentire (non prendendo più cortisone…😫), ma dopo mesi di quella pressa fisica tutta particolare che solo chi ha fatto chemioterapia può conoscere, adesso mi pare di essere tornata a respirare. Faccio un mucchio di cose, o almeno a me sembrano un mucchio, dopo mesi di ritmi da bradipo. Ho ricominciato a prendermi cura della mia famiglia, anche se non riesco ancora a fare la spesa perchè fatico a camminare per il tempo necessario a fare il giro del supermercato senza stampelle. Un poco al giorno, ogni giorno il necessario e qualcosa di più, sempre di più. Doso le forze, ma già non avere più la testa in palla per i farmaci mi permette una qualità di vita nettamente più accettabile. Ho potuto ricominciare a frequentare il coro con i tempi del coro e non i miei, ho ripreso a cantare anche in pubblico ieri dopo mesi, e mi è sembrato di aver riconquistato la vetta della mia montagna 🏆.

Tra una decina di giorni inizio la chemioterapia metronomica, capecitabina e vinorelbine. Poter stare lontana dall’ospedale per più di due settimane consecutive sembra strano, ma lascia che sia così và… 🔝🔝🔝

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Modi di dire

Marmot_66 Qualche giorno fa ho iniziato a cercare i modi di dire relativi a gambe e piedi e catalogarli in base alla possibilità di applicarli ancora al mio caso.
Ho chiesto agli amici sul web un contributo a questo mio piccolo ma divertente progetto: ne sono già uscite cose bellissime, continuate ad aiutarmi per arricchire il repertorio!

 

  • Non posso più fare qualcosa su due piedi, quindi non mi assillate!
  • Posso ancora tenere il piede in due scarpe o in due staffe
  • Non posso più saltare qualcosa a piè pari
  • Posso ancora essere una persona in gamba
  • Non posso più stare con i piedi sotto il tavolo
  • Non posso più stare in piedi
  • Posso ancora avere un piede nella fossa, ma sarebbe grave; in compenso non posso più uscire con i piedi in avanti né stirare le gambe e questo fa ben sperare
  • Non posso più scappare a gambe levate, ma posso, a pieno titolo, scappare a gamba levata (grazie Romina, questa è la migliore!)
  • Posso ancora essere sul piede di guerra
  • Non posso più avere le gambe che fanno giacomo giacomo
  • Posso ancora alzarmi con il piede sbagliato; speriamo di no, però
  • Non posso più procedere con i piedi di piombo 
  • Non posso più andare a piedi
  • Non posso più stare con i piedi per terra, quindi ogni follia è giustificata!
  • Posso ancora prendere qualcosa sotto gamba 
  • Non posso più fare un lavoro con i piedi, ma tanto non lo facevo nemmeno prima
  • Non posso più avere qualcuno o qualcosa tra i piedi
  • Posso ancora avere una palla al piede
  • Non posso più puntare i piedi, ma non pensiate che abbia perso anche solo un grammo della mia ostinazione
  • Posso ancora circolare a piede libero
  • Non posso più camminare sulle mie sole gambe
  • Non posso più darmi la zappa sui piedi; meno male
  • Posso ancora mettere un piede in fallo, e sarebbero guai
  • Non posso più muovermi in punta di piedi
  • Nessuno può più mettermi i bastoni tra le gambe
  • Non posso più essere lasciata a piedi
  • Non posso più darmela a gambe
  • Non posso più avere qualcuno ai miei piedi: peccato!
  • Non posso più cadere in piedi
  • Posso ancora tenere in piedi qualcosa
  • Non posso più avere le ali ai piedi
  • Non posso più pestare i piedi per fare i capricci, ma è anche vero che nessuno potrà più pestarmi i piedi
  • Posso ancora mettere piede in un posto 
  • Non può più mancarmi il terreno sotto i piedi
  • Non posso più mettere le gambe in spalla
  • Posso ancora partire con il piede giusto; anche con quello sbagliato, ma speriamo di no
  • Non posso più levarmi qualcuno dai piedi: preoccupante!
  • Posso ancora entrare a gamba tesa
  • Non posso più andare gambe all’aria
  • Non può più venirmi il latte alle ginocchia
  • Posso ancora fare il passo più lungo della gamba
  • Non posso più contare sul fatto che chi non ha testa ha gambe, devo arrangiarmi in qualche altro modo
  • Non posso più fare passi da gigante
  • Posso ancora togliermi qualche sassolino dalla scarpa
  • Se mi invitano a casa di qualcuno, non posso più bussare con i piedi
  • Posso ancora avere il piede pesante
  • Non posso più avere il morale sotto i tacchi: evviva!
  • Posso ancora fare il primo passo

 

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Intera

Marmot_66 Lo so che tanti di voi si stanno facendo mille domande preoccupate su come mi sento senza una gamba, su quanto possa essere difficile affrontare una mutilazione così devastante, accettarsi con un aspetto fisico tanto strano e diverso e le nuove, enormi cicatrici che deturpano ancora una volta la mia pelle.
È un lutto da accettare, una nuova immagine di sé da costruire, magari può servire un supporto psicologico, bisogna ritrovare l’equilibrio…

Ohé, smettetela!
Apprezzo sinceramente la vostra preoccupazione, ma è sprecata: pigliate tutto il repertorio di psicologia da bar e riportatelo al bar.
Zero.
Niente.
Nemmeno un po’.
I miei pensieri e le mie preoccupazioni riguardo l’amputazione sono solo ed esclusivamente di tipo pratico.
La cicatrizzazione delle ferite, il rischio di infezione, la vascolarizzazione del moncone, come stare seduta, alzarmi, usare il WC, camminare, fare le scale…
Nient’altro, davvero.

Il problema di perdita di immagine è totalmente estraneo al mio DNA e non ho il benché minimo senso di identificazione con quella o altre parti del mio corpo, a parte il cervello, per cui non mi sento nulla di meno, o di diverso, rispetto a ciò che ero prima.
Anche senza un pezzo sono sempre io, mi riconosco benissimo e mi accetto tanto quanto prima. Ho sempre un seno troppo grande e cadente e le spalle strette, per dire.
Chiaro che avrei preferito poter restare intera, camminare su due gambe è più comodo che su una, ma ho perso qualcosa solo dal punto di vista funzionale.
Emotivamente ed intellettualmente, cioè per tutto quanto mi qualifica come persona, io sono intera.

Ora vedo almeno un paio di teste annuire con l’aria saggia di chi sa: “Eh sì, adesso dici così, poi prenderai consapevolezza e arriverà la batosta!
Sottotitolo, con aria compiaciuta: “E io sarò lì a dire che te l’avevo detto“.
Se siete i proprietari di quelle teste, uscite dal mio blog e dalla mia vita, non vi voglio intorno.
Ognuno reagisce a suo modo alle situazioni difficili e ogni reazione è parimenti legittima. La mia non è giusta né sbagliata, non è ostentazione di diversità, non è nemmeno una scelta: è semplicemente quello che mi viene naturale. Se vi sembra impossibile, non è un problema mio, se mi volete uguale a voi, avete sbagliato indirizzo,se sperate di assistere al mio crollo, andate a fare gli avvoltoi altrove.

La batosta arriverà, sicuramente. Magari sarà la prima volta in cui non riuscirò a raccogliere qualcosa da terra. Sarà un momento, o saranno molti, in cui piangerò per la frustrazione. Ma sarà la frustrazione di non poter fare, mai quella di non essere.

 

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Io vado

Marmot_66 Vado in sala operatoria.
Tra poco l’anestesia spegnerà i miei pensieri e scivolerò in un nulla senza dolore e senza tempo.
Quando perderò conoscenza, per me sarà già tutto finito, in un modo o nell’altro, perché non avrò nessuna consapevolezza di ciò che succederà. Mi sveglierò a intervento finito e per me sarà passato un attimo. O non mi sveglierò affatto e sarà passata l’eternità.
Per altri, fuori, il tempo scorrerà invece in gocce lente e pesanti di ansia. Non invidio Renato, la zia e tutti gli altri che aspetteranno: a loro, oggi, tocca la parte peggiore.

Raccolgo i miei pensieri felici perché mi accompagnino nel sonno, così li ritroverò al risveglio.
Raccolgo il coraggio di provare ancora a tenermi stretta questa vita sempre più sottile.
Raccolgo la speranza che vada tutto liscio, la speranza di tornare viva e di tornare a vivere.
E siccome sono io, raccolgo ancora un sorriso e ve lo lascio qui.

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Non chiamatemi guerriera!!!

Scrivo un post su facebook con la visibilità limitata ai miei contatti: “non chiamatemi guerriera”, seguono motivazioni (mi da estremamente sui nervi).
Mi appellano guerriera nei commenti.

Rendo il post visibile a chiunque: mi appellano guerriera nei commenti anche perfetti sconosciuti.

Scrivo “non chiamatemi guerriera” come didascalia sotto al mio nome del profilo su Facebook, cosi rimane sempre in alto tra le prime informazioni che si hanno di me quando si accede alla mia bacheca: mi scrivono “forza guerriera” nei messaggi privati personaggi arrivati a me anche da YouTube o dal blog.

Calco il concetto scrivendo uno status su WhatsApp: “non chiamatemi guerriera” e lo lascio per le classiche 24 ore: mi salutano con “ciao guerriera” anche conoscenze di paese.

Ma la gente che problemi ha

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At the end of the street

In una mezza giornata, passando direttamente al “via” senza la sosta in ambulatorio oncologico per la visita di rito (tanto il prelievo era  a posto, e il “da farsi” per il post chemio era già stato definito la settimana precedente), il 13 agosto scorso ho fatto l’ultima Abraxane+carboplatino, la 14esima. Sono state ore di una tensione paurosa, tanto che non sono quasi riuscita a dormire nonostante la dose da cavallo di Trimeton che, come al solito da quando ho avuto la reazione allergica al carboplatino, mi somministravano a metà infusione. Tremavo come una foglia, ho tremato per quattro ore consecutive. E lo so, si dovrebbe stare tranquille, dopotutto se c’è un posto sicuro dove sentirsi male è dove possono intervenire immediatamente con la soluzione a portata di mano come l’ospedale (il reparto di oncologia poi è super fornito di ogni possibile antidoto), io non lo sono stata. Da quando nel 2010 ho avuto la reazione allergica al Caelyx, ripetutasi poi con la nona carboplatino, non c’è niente da fare: quando devo assumere farmaci mi prende l’ansia, quell’ansia che paralizza e toglie ogni razionalità, fa partire la testa ovunque.
Comunque è andata, e quando mi sono alzata da quel letto ho salutato materasso, cuscino e pompa di infusione e ho detto ad alta voce (tanto mica c’era più nessuno nella stanza, le altre due mie compagne erano già andate via da un pezzo) “arrivederci il più in là possibile”.
Felice. Sono tornata a casa rincoglionita come al solito dai farmaci, ma felice. Talmente felice e fissata nel pensiero “HO FINITO” che nei giorni a seguire ho dimenticato di aver fatto comunque chemio, e siccome ne ho fatta tanta (taaaaaaanta… cinque mesi più un giorno) ho scordato che esiste il famigerato “effetto accumulo”, che mi porta ancora ad oggi, a distanza di diciotto giorni, ad avvilirmi perchè sono ancora senza forze, sfinita, desiderosa solo di essere lasciata in pace lontano da tutto e da tutti, soprattutto dai “dovresti” e “potresti” che arrivano da fuori e da dentro di me (che sono i peggiori). Ho perfino chiamato in oncologia (cosa che non facevo per motivi del genere da tipo nove anni, nemmeno con la TC dell’anno scorso ho mai stressato in reparto per dubbi del genere, escluso il “tuono” del fegato dopo la seconda A+C di marzo… Per il resto mi sono sempre arrangiata da sola o con la farmacista) per capire cosa mi stesse succedendo. In tutta risposta mi sono sentita dire la cosa più scontata che potessi immaginarmi: “due settimane, signora, sono NIENTE per pensare di stare diversamente nella sua situazione. Prenda “X” bustine di “TAL” prodotto e RIPOSI, e se entro qualche giorno non riprende fiato venga che facciamo un emocromo”. Che sciocca. Credevo di spegnere un interruttore io.

Lasciatemi in pace. Dovrei scriverlo fuori della porta, sul mio status Whatsapp, sulla mia bacheca facebook: lasciatemi in pace. Chiedetemi quello che volete, ma non di alzare le chiappe per voi. Non ce n’è per nessuno. Non ce la faccio. La china va risalita piano piano, e provatevi voi a farvi una pippa di chemioterapia di mesi e mesi dopo che non avete ancora smaltito la chemioterapia, la radioterapia e tre interventi di meno di un anno prima: sareste pezze da piedi anche voi. Adesso sono così, e così voglio rimanere finchè non mi passa. (Lo scrivo per convincermene io, mica per chi legge, che credete? Perchè io punterei ancora a pulire i vetri e andare a trovare mia cugina che sta a 50km da qui e non vedo da tipo tre anni…).

C’è stata una unica occasione in cui ho alzato le chiappe volentieri e senza grande sforzo. Siamo stati ad una cena da amici intimi dieci giorni fa, due o tre ore piacevoli in compagnia, in un paese vicino. Niente chiasso, nessuna pretesa, nessuno sforzo e nessun impegno: solo compagnia gradevole e chiacchiere. Non faceva nemmeno un gran caldo, il che ha reso la serata migliore delle serate torride che sono seguite, tappati in casa con l’aria condizionata accesa.

E’ finita. Ho finito questa chemio, lunedì scorso ho finito anche le colazioni dopate che mi rendono le notti insonni o colorate da incubi

e ho finito di contare i giorni della settimana partendo dal martedì (giorno del prelievo) al lunedì (giorno della ripresa totale).

Capitolo chiuso, e come i bambini che ricevono un premio a fine anno scolastico anch’io ho avuto i miei (perchè si, sono veniale, punto). Mi sono regalata un set composto da piano di lavoro autorigenerante con tanto di rollercut e squadra da sarta. E mio figlio mi ha fatto una torta di mele (adoro!).

 

Perchè si. Perchè porcapaletta, ce l’ho messa tutta, il morale va aiutato, e a me questi aiuti piacciono tantizzimo: mi fanno fare progetti. E di progetti si nutre la voglia di vivere.

Lunedì 2 settembre inizio la terza stadiazione delle metastasi con la scintigrafia ossea (odio profondo per quell’esame, o meglio, per il luogo dove devo farlo, il Big Hospital), a seguire il 10 Tac, per terminare il 17 con la visita oncologica. E poi si riprende la chemio, di cui ho una fottutissima paura per il motivo di cui sopra (farmaci nuovi da prendere). Faccio fatica a non pensarci. Per non farlo mi aiuto usando le mani, buttandomi su lavoretti creativi colorati che non richiedono alcuno sforzo fisico se non quello delle dita delle mani.
Ma di quelli parlerò in un altro post.

Il post originale qui

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