STUPORE

7f92ec01e48cf7eac901d3d91fbeb30fStupore, meraviglia, sbigottimento, paura.

Paura di non essere all’altezza, di sbagliare, di non riuscire a trovare le parole giuste per consolare e per tranquillizzare.

Signora Bella e Giovane e tanto tesa, tutto bene può andare”.

E la SignoraBellaGiovane si è girata, mi ha guardata, si è messa a piangere e si è appoggiata alla mia spalla.

Stupore, sorpresa…cosa dico? cosa faccio? Mi ha colta alla sprovvista, ero incredula.

E piangeva, e continuava a sussurrare che le dispiaceva, ma che io non potevo capire,che solo chi ci è passato può capire, l’ansia, la tensione, la paura che ti afferra nei giorni precedenti e in quegli attimi di attesa, in cui sai che le parole posso cambiare il corso della tua vita.

E al mio sussurrarle che la capivo, che bene o male ero compagna di vita e di cancro, il suo aprire gli occhi, dire che non era possibile, che ero troppo bella, troppo tranquilla, troppo tutto per essere come lei, malata di cancro.

E le mie parole sono uscite, in scioltezza, per rassicurarla, per farle capire che al cancro si sopravvive e si vive bene, che la vita dopo il cancro esiste, diversa magari da quella precedente, ma c’è e, se si è brave a cogliere le differenze, è anche migliore e più piena, più vissuta e più apprezzata.

Dopo un mare di tempo si è tranquillizzata, ha chiamato il marito che la venisse a prendere , assieme ci siamo sedute ad un tavolo di un barettino vicino all’ospedale in attesa, e ho ascoltato le sue parole, il suo rimpianto per la vita di prima, così bella e piena, fatta di viaggi e di tanti amici, mentre ora non aveva più nulla, gli amici si erano dileguati e i viaggi non se la sentiva di affrontarli, ma poi confessare che il marito le organizzava di tanto in tanto lunghi week-end nelle capitali europee e che a lei facevano tanto piacere, che cominciava a fare programmi lunghi, da qui a sei mesi….cara e dolce SignoraGiovaneBella, lunga vita a te e a tutti i tuoi programmi futuri.

Io ancora sbigottita.

E io dopo questa mattinata intensa, mi sono rifugiata da Bianca a mangiare Fagottino crema e mela e bere teà. Ne avevo bisogno, tanto bisogno!

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Il Bozzolo e la Farfalla

Amore,

eccoci qui, infine. Stretti insieme nonostante i pronostici. Nonostante gli odiosi incidenti che hanno rischiato non semplicemente di separarci, ma di strapparci. Nonostante in certi momenti non ci credessi nemmeno io. Nonostante gli incubi e l’immobilità. Nonostante tutto, siamo qui, e io sono convinta che sia principalmente merito tuo, che ci hai creduto più di me. Con la caparbietà di chi ormai ha deciso che, a tutti i costi, si aggrapperà con le unghie e con i denti, sei rimasto. E hai insegnato a tutti cosa sia la Volontà.

E’per prepararmi a questo che mi sono chiusa nel bozzolo. Per pensare a te. Per farti cadere dalle stelle. E così, invece, un po’a sorpresa, mi sono presto trovata a non essere io una pupa in bozzolo. Sono diventata il bozzolo.

Ed allora siamo qui, ed io ti osservo senza vederti. Ti sento senza che tu abbia voce. E rido. Rido perché quello che sei è talmente immenso e, al contempo, talmente piccino, che io non riesco a capirlo. Non lo comprendo e mi sembra così strano, così curioso, così “buffo”, che ne rido. Rido con l’entusiasmo e il candore di un bambino. Con l’entusiasmo e il candore tuoi. Poi, di quando in quando, mi prende una consapevolezza leggermente più profonda di quello che sei, di chi sei, che allora vengo totalmente sopraffatta da un’emozione che non capisco, non conosco, che mi spaventa e mi entusiasma al tempo stesso e mi fa tremare il cuore. Non il tremore della fredda paura. Il tremore del cuore quando si trova davanti a qualcosa di bellissimo, di artisticamente perfetto. E’così difficile da realizzare. Così difficile, eppure così naturale. Un legame vecchio come il mondo, sempre nuovo, sempre diverso, sempre così sconcertante.

Siamo una candela con due fiamme. Siamo un corpo con due nomi. Siamo due cuori che battono in un corpo solo. Siamo due anime che tendono la stessa pelle. Siamo io e te. E tu sei Amore divenuto materia. L’estensione di due persone che da sole non bastavano più a contenere tutto l’amore che provavano.

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La prima volta che ti ho visto, sembravi una stellina lontanissima in un cielo senza luna, talmente microscopico che nessuno poteva garantire che ci fossi. Poi ti ho visto altre volte, ma non a cuor leggero perché eri veramente in difficoltà, e ho pianto dal sollievo e dal senso di indicibile stupore perché, benché lungo solo 4.4mm, il tuo cuore batteva. Eri vivo, più piccolo di mezzo centimetro e vivo, con un cuore che batteva. E lì ho realizzato che avresti veramente venduto cara la pelle. Poi ti ho visto di nuovo. Stavolta appena più serena, in un posto più rassicurante del pronto soccorso e finalmente osservandoti tenendo per mano l’unica persona al mondo che volevo fosse con me a vedere cosa aveva fatto. Eri perfetto, un pupazzetto con il testone da lampadina lungo 1.55cm. Ti ho guardato galleggiare nel tuo nido, ho sentito di nuovo il tuo cuore battere e un pensiero mi ha colpito all’improvviso, come una scarica elettrica. Eri ancora mezzo centimetro più piccolo della più piccola delle masse tumorali che ho avuto. Ho avuto un moto di orgoglio: sarai stato anche più piccolo del più piccolo dei miei maledetti diavoli ma…eri vivo. Eri Vita. Eri Vita e questo ti rendeva immensamente più grande di qualsiasi mostro abbia ospitato lo stesso corpo dove ora sei tu. Dove ora sei tu. Appena diciotto giorni dopo, eri già cresciuto due centimetri. Sempre chiuso in una camera dalle pareti piene di crepe, ma lì. Cresciuto alla grande. La bellezza di 3.55cm. Vivo, vivissimo e profondamente urtato dalla paparazzata la mattina presto. Bellissimo. Caparbio. Sfacciatamente vivo a dirmi di continuare a stare ferma a letto, che tanto tu la tua parte la stai facendo.

Infine, ti abbiamo spiato ancora pochi giorni fa. Sano come un pesce e bello come il sole. Sette centimetri in costante movimento, con tante cose da fare: grattarsi il testone, tirarsi i piedini, guardarsi le mani e, quando il gioco è andato avanti troppo per i tuoi gusti, tirare calci e pugni a quella stupida, fastidiosissima sonda spiona! La dottoressa dava le botte alla pancia per farti mettere di profilo e tu, per tutta risposta, ti sei girato e hai mostrato il sedere a tutti.

Siamo già quasi a metà strada, piccino, siamo a buon punto ma la strada è ancora molto lunga. Dobbiamo fare moltissime cose, tu devi prepararti in un senso, noi in un altro. E ci aspettiamo a vicenda per cominciare insieme questo viaggio incredibile…

Ora baste chiacchiere e sentimentalisti: continua a darti da fare e, alla prossima ecografia, cerca di farci vedere se più giù di quel capoccione da Casper che ti ritrovi c’è anche qualcosa di interessante – e possibilmente non sporgente – da vedere!

Con amore

Mamma

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Una parola grossa

Marmot_66Ci siamo!
Ritirati gli esiti di risonanza e RX torace: tutto a posto, nessun segno di recidive locali né di metastasi in giro per fegato e polmoni né di linfonodi alterati.
Significa, in soldoni, che posso festeggiare cinque anni liberi da malattia.

Di solito a questo punto scatta automatica la domanda: “Allora sei guarita?”
Ecco, “guarigione” è una parola grossa, una parola che chi si occupa seriamente di oncologia, usa assai raramente e con molta parsimonia.
Perché il cancro – anzi, i cancri perché sono centinaia di forme patologiche diverse – sono bestiacce insidiose.

Il cancro è provocato da mutazioni genetiche che rendono alcune cellule virtualmente immortali ed in grado di riprodursi in modo incontrollato. Queste mutazioni possono essere originate dalle più svariate combinazioni di fattori genetici, biologici, ambientali e comportamentali e anche quando le terapie raggiungono un completo successo e tutte le cellule malate vengono eliminate dall’organismo, può comunque accadere che quelle combinazioni si manifestino di nuovo in futuro, ricreando la stessa malattia, o che se ne producano di nuove, in grado di provocare un diverso tipo di cancro.
Per questo motivo, in oncologia di solito non si parla di guarigione, ma di sopravvivenza libera da malattia e di riduzione del rischio di ammalarsi di nuovo, idealmente fino allo stesso livello di chi non ha mai avuto il cancro.

Per molti tipi di tumore maligno, una sopravvivenza libera da malattia di cinque anni corrisponde appunto all’aver riportato il livello di rischio alla pari di quello di chi non si è mai ammalato, quindi viene identificato con il successo terapeutico.
Ovviamente, non per quello che ho avuto io.
Cioè, vi pare che io potessi accontentarmi di un cancro normale? Ma quando mai…
I liposarcomi hanno la sgradevole tendenza a recidivare anche a distanza di 8/9 anni, per cui il periodo di follow-up, di osservazione stretta, è di almeno dieci anni. Al termine dei quali, se tutto continuerà ad andare bene, il mio livello di rischio oncologico resterà comunque più alto rispetto a quello di chi non si è mai ammalato, a causa della notevole quantità di radiazioni che è stata utilizzata cinque anni fa per trattare la recidiva.
Guarita“, per me, resterà sempre una parola grossa.
Ma se lo rimane per i prossimi cinquant’anni, va benissimo.

PS: quando l’alternativo di turno vi racconta che la cognata della zia del genero del cugino del nipote della vicina di casa della nonna dopo qualche mese di terapia miracolosa è guarita, potete essere certi che si tratta di una bufala; vale la pena di interessarsi al caso solo se conoscete direttamente e personalmente (non per sentito dire, letto su internet o visto su YouTube) qualcuno che ha avuto il cancro, si è curato esclusivamente con metodi non scientificamente riconosciuti ed è ancora libero da malattia a distanza di diversi anni.

Analogamente, quando lo stesso alternativo di cui sopra vi illustra il grande inganno delle statistiche della medicina ufficiale che aumenterebbero fittiziamente le percentuali di successo delle terapie oncologiche classificando come guarito un paziente che sopravvive per cinque anni, anche se poi muore dopo cinque anni e un giorno, vi sta raccontando panzane e quelle statistiche non le ha mai nemmeno viste da lontano. Perché se le avesse davvero lette (e si trovano facilmente in Rete), non ci avrebbe mai trovato parole come guarigione e successo, ma solo sopravvivenza e sopravvivenza libera da malattia. Fermo restando che chi ha avuto il cancro, considera sicuramente un successo essere ancora vivo dopo cinque anni.
Non esistono una medicina ufficiale e una medicina alternativa: esistono solo una medicina seria e una miriade di ciarlatani.

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Cambio

wolkiSi sta per concludere marzo.
Esattamente tre anni fa a marzo,  ho scoperto di avere il cancro al seno. Due anni fa, a giugno, la metastasi. Dire che la mia vita è cambiata è un eufemismo. Da allora nulla è stato più lo stesso.
In questi tre anni ho attraversato diverse fasi, modalità diverse di gestire quello che mi stava accadendo, passando, con cicli ricorsivi, dalla fiducia di poter influire sul mio destino alla consapevolezza che non si può controllare tutto.

Ora che riesco a guardarmi con maggior distacco mi rendo conto che in più occasioni devo esser apparsa come una matta invasata, convinta assertrice di modelli virtuosi di stili di vita, dall’alimentazione all’attività fisica. E ci ripenso sorridendo, senza sensi di colpa, perché quasi sicuramente quella sicurezza mi ha salvato dalla disperazione, anche se deve aver fatto alzare gli occhi al cielo a più persone.

Mi sembra di aver raggiunto una nuova fase in cui faccio determinate scelte non perché spero possano influire positivamente sulla mia salute ma perché provo piacere nel farle. E la sensazione di benessere che ne deriva penso sia estremamente benefica. Per questo motivo il sottotitolo del blog “i miei buoni propositi per vivere a lungo” mi pare che non risponda più a questo nuovo modo di essere. Dà l’idea che sia possibile controllare, con la forza della volontà e delle mie azioni, il futuro. E questo ovviamente non è possibile. Mi sembra molto più adatto “i miei buoni propositi per vivere in equilibrio”. Il mio tentativo di fare ciò che mi fa stare bene, di raggiungere nuovi traguardi pensando semplicemente che siano quelli più adatti a me, non necessariamente i migliori, e senza giudicare altri modi di vivere e agire.

Perché non posso controllare il mio futuro ma sicuramente posso influenzare il mio presente.

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Quello che vorrei

wideC’è un mito strano dietro il cancro, e cioè che ora che hai il cancro, cavolo, puoi finalmente fare quello che hai sempre desiderato. Ma insomma, a parte qualche vero sfortunato, immagino che ognuno di noi cerchi sempre di fare ciò che più desidera (speriamo, nel rispetto della libertà altrui). A prescindere dalla malattia.
Sicuramente Obi e io da 5 anni viviamo con più consapevolezza, ci perdoniamo molto di più di come faremmo altrimenti, ce la prendiamo meno per le scemenze. E forse facciamo le poche vacanze e i viaggi con molta più gioia ed entusiasmo (ma chi non va in vacanza felice, deve essere scemo).
Ma anche adesso che io riesco a fare pochissimo (non lavoro, non posso viaggiare, non posso camminare più di tanto, ho zero energie per le relazioni sociali, etc),  non sento che c’è qualcosa che dovrei proprio fare per non sprecare questo tempo (poco? Boh, non lo so mica. Non lo sapete nemmeno voi).
Io faccio esattamente quello che voglio.
Solo che voglio molto poco. E sempre meno.
Vorrei solo vedere crescere le mie figlie.
Ma questo è quello che desidera ogni genitore, senza bisogno di avere il cancro.
Solo che se hai il cancro, sai un po’ meglio che non puoi contare sui tuoi desideri.
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La malattia unisce o divide?

oic2 Da mesi siamo arrivati al punto di rottura.
Eh sì, dopo una storia durata dieci anni, io e MJ siamo giunti in cima alla salita e abbiamo scollinato: io da una parte e lui dall’altra.
Non sto qui a spiegare perché e per come, né tanto meno come mi sento, anche se credo che un po’ l’abbiate intuito.
Vorrei solo riflettere con voi e capire (anche se, alla luce dei fatti, non è che ormai abbia troppa importanza) se una diagnosi di cancro a 31 anni possa aver condizionato il rapporto.

Nel momento in cui mi spiegarono quali effetti collaterali, anche a lungo termine, la chemio potesse avere, non ho esitato “MJ, se vuoi andartene vattene, non farti annullare la vita dalla mia malattia…”. Ovviamente lui è rimasto al mio fianco sempre, e oggi, con il senno di poi, mi maledico per non aver avuto allora abbastanza coraggio e fermezza per prendere la drastica decisione di troncare. Quanta sofferenza gli avrei evitato!!!

Passano cinque anni, mi riprendo, vivo una vita normale, forse meglio di prima, ma sempre “sul chi va là”. Eppure qualcosa si rompe, qualcosa cambia. Forse io?!? Entrambi?!?
E’ stata la malattia a farci perdere l’equilibrio?
Continuo a chiedermi se le cose tra noi sarebbero andate così anche se non mi fossi ammalata o se il cancro è solo un alibi del cazzo.
Ma una risposta so che non l’avrò mai.

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Traguardi

6666 …la soddisfazione incredibile di poter legare i capelli, che non ha niente a che vedere con la bellezza della pettinatura…

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Lo sapevate che? (World cancer day 2013)

1. Il cancro non è solo un problema di salute, ma implica problemi sociali, economici, politici di cui le istituzioni di ogni paese dovrebbero farsi carico.

2. Il cancro non è una malattia dei paesi più ricchi, più sviluppati e con una popolazione più anziana, ma è diffuso globalmente, in tutti i paese e tra tutte le fasce di età.

3. Il cancro non è una condanna a morte, perché molti tumori possono essere curati, molte persone grazie alle cure riescono a sopravvivere anche molto a lungo.

4. Non è il destino a stabilire chi si ammalerà di cancro, perché almeno un terzo dei tumori più comuni possono essere prevenuti grazie agli stili di vita (fumo, alcol, alimentazione, attività fisica, protezione dai raggi solari, ecc.)

http://www.worldcancerday.org

http://www.legatumori.it/new_pp.php?id=2005&area=1005

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Port-a-rauss! E lo IAP se ne va

Non importa che appena ho visto con quale oncologo avrei fatto la visita stamattina mi sia venuto un principio di orticaria, che poi evidentemente le festività natalizie devono avergli fatto bene perchè per la prima volta l’ho visto sorridere e toh, siamo magnanimi, anche un po’ gentile.
Non importa che per una visita per visione esami e la prenotazione dei successivi abbia trascorso in ospedale la bellezza di DUE ore, facendo su e giù con l’ascensore un discreto numero di volte (non deve venire qui – vada giù- no torni su – si faccia cambiare l’impegnativa – scenda al cup e se ci sono problemi faccia chiamare su – no signora non risponde nessuno, vada su…).
Passa in secondo piano anche il fatto che, se mi aspettavo il prossimo controllo verso fine anno, in realtà debba farlo ai primi di giugno, anche se solo con i markers.
C’è che finalmente è stata fissata la rimozione del PORT, per mercoledì prossimo, a mezzogiorno. L’ho messo quando? Aspetta… ecco l’utilità del blog, vado indietro a cercare e trovo le date con un click. Era il  30 maggio 2010 (link al post). Tirava tutt’altra aria.

Se oggi cammino a due centimetri da terra non è perchè se ne va una cosa che mi lega alla malattia, perchè francamente, al di là del fatto che se bastasse togliere il cateterino per prendere il distacco da quanto è successo sarebbe fantastico ma irreale, concretamente mi salta all’occhio la “faccenda” ogni mattina quando vado sotto la doccia. E’ sufficiente. Con molto amore per quello che vedo (per carità, provo un senso di tenerezza infinita verso me stessa quando mi guardo le cicatrici), il mio corpo segnato e ancora – irrimediabilmente ormai – completamente insensibile in tutta la zona sotto l’ascella dal braccio al seno e dietro la spalla, ma è impossibile non vedere. Per non parlare di tutto quello che mi porto dietro, in primis la pasticca quotidiana.

La mia gioia è dovuta al fatto che teoricamente, se lo IAP può andarsene, ho raggiunto una distanza tale dal rischio di riammalarmi (perlomeno a breve termine) da poter pensare di relegare il tempo della chemioterapia ad un brutto ricordo, più che ad un ipotetico futuro “bis”.  E per quanto il mio pensiero oggi vada a due persone che mi stanno particolarmente a cuore che ne sono ancora immerse fino al collo, io oggi, per me, mi prendo il diritto di essere felice.

Il post originale QUI

 

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Questa non è la mia cartella clinica

wideCome molti di noi, autoreferenziali scrittori blog, ogni tanto mi chiedo a cosa mi serva scrivere qui. La funzione originaria, l’ho detto spesso, è stata di trovare una cornice di senso a quello che mi stava accadendo, condividerlo con chi ci era passato, o ci stava passando o voleva lasciarmi un segno di solidarietà con un commento. Internet ha davvero rotto tanti muri di solitudine, e senza stare a fare le vittime, avere il cancro così a lungo, ti lascia tanto sola. Allora, negli anni, questo blog è servito a fare amicizie virtuali che chi l’avrebbe mai detto. A tenere aggiornato chi si interessa a me, ma una telefonata sarebbe complicata (lo dico senza acrimonia, sono la prima a non rispondere più al telefono). Oltre a scrivere, rileggere quanto scritto negli anni, mi ha aiutato poi a capire meglio, a inquadrare diversamente gli eventi con il senno di poi. E se c’è una parte di post scritti anche con un pensiero alla loro potenziale utilità per altri nelle mie condizioni, devo dire che, soprattutto, ho sempre scritto egoisticamente per me sola. Tanto più ultimamente: le mie vicende sono così orientate, che preferisco nessuno si riconosca nella mia situazione ed è lo stesso motivo per cui parlo pochissimo, anche in dh, con “colleghi di malattia”. A volte cerco di non incrociare nemmeno i loro sguardi, non voglio si spaventino, dico sul serio. Soprattutto non voglio mi facciano domande. Le risposte non piacebbero né a loro, né a me.
Questa però non è la mia cartella clinica, scrivo quando mi va, quello che mi va, e chi vuole legge e scrive come vuole, nella massima libertà, nei limiti della buona educazione, sempre. Detto ciò, non penso di morire nei prossimi due mesi (oddio, magari mi becco pure la famosa tegola in testa e la facciamo finita), ma la malattia – dicono gli ultimi controlli di questi giorni – sta avanzando, a polmoni e cervello. E io cammino sempre più piano, respiro sempre più a fatica, tossisco di più. Me ne fotto anche abbastanza, ho un Natale da prepare per la mia famiglia, il morale da tenere alto, la rassegnazione da tenere a bada, e soprattutto la fiducia che sento, sempre, di cui prendermi cura.
Ogni giorno dobbiamo imparare di nuovo a prendere quello che c’è, cercando di non farci fare troppo male. Non è semplice, nella preoccupazione si fanno un sacco di cazzate, ma noi possiamo permetterci pochissimi sbagli. Nostri o altrui.
In tutto questo, Nina e Lilla sono una forza della natura, una dirompente fonte di energia allegra e vitale. Davvero non si sa mai cosa ci riserva il futuro, e noi lo sappiamo meno degli altri, è la realtà. Ma il mio presente, grazie a loro e a Obi, è davvero sempre bellissimo.
Adesso ciao, vado a preparare dei muffins per loro.

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