Lasciatemi mangiare… con la forchetta in mano… lasciatemi gustare una lasagna piano piano!

spillo Durante tutto il periodo della malattia ero assillata da persone che mi dicevano che ero troppo magra e che mangiavo troppo poco. Sì, dico assillata, perché io mangiavo eccome, anzi, la prima cosa che il blog di Romina mi ha insegnato è che è sempre meglio mangiare ed avere qualcosa da vomitare, piuttosto che il contrario. Poi, se proprio vogliamo essere precisi, da un punto di vista esterno mi si poteva vedere più magra perché la chemioterapia aveva reso nulla la mia massa muscolare, ma la realtà è che io mi sentivo comunque un pallone per via della ciccia e del gonfiore da cortisone. Quattro chili e duecentocinquanta grammi ho preso, altro che dimagrita e dimagrita.
Adesso l’antifona è cambiata e inversa. Ok. Sono ingrassata da far schifo. Il problema è che mi viene fatto presente ogni minuto. Ma… udite udite, anche io mi vedo allo specchio: i muscoli sono tornati e la ciccia è stata sparata tutta fuori esattamente come prima. La differenza è solamente una: prima facevo più attenzione a mangiare poco per mantenere un minimo di forma e adesso me ne sto un po’ fregando. Perché? Il motivo è molto ma molto semplice: provate a mandare giù plastica insapore per otto-nove mesi, poi mi dite se, quando finalmente ricominciate a sentire i sapori e il piacere di mangiare, avete voglia di mettervi a dieta. Secondo me anche voi un bel “fatti gli affaracci tuoi che campi cent’anni” non lo neghereste a nessuno!!!
…che poi…non dico che continuerò ad essere un tritarifiuti per tutta la vita! Semplicemente, per adesso, lasciatemi mangiare!

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Di nuovo in strada, di nuovo in sala operatoria.

La prendo larga?
Larga la prendo. Anche perchè è più di un mese che non sbloggo, quindi una lettura pesa ve la posso anche infliggere.
Sono qui.

Di nuovo in viaggio, non più in bici (fa freddo, odio pedalare col freddo) ma con la Greta, e faccio strada. Tanta. Ho ritrovato la libertà di guidare, il piacere di farlo, e vado. Dove non sono stata in questi ultimi dieci anni, da chi non vedo da tanto tempo e mi aspetta. Da sola. Mi piace guidare da sola. Tante cose mi piace farle da sola.
E vado anche metaforicamente.

Non ho più scritto di come sono andati i controlli ultimi. Si, lo so, nessuno ha perso il sonno per questo.
C’è che non sono finiti. Dopo quattro mesi non sono ancora terminati.

Tecnicamente e molto freddamente.
Quando ho portato la mamma a visita oncologica lo scorso ottobre, l’oncolessa mi ha suggerito, vista la situazione di entrambe, di parlare con l’oncologo che segue me, relativamente alla possibilità di fare il test del BRCA, e prendere eventualmente in considerazione l’asportazione preventiva delle ovaie (mie, non di mia madre chiaramente, dato che il mio era un tumore ormonodipendente e il suo no).
Un mese dopo, quando a visita sono andata io, ne ho parlato appunto con l’oncologo, il quale sostiene che fare il test, vista la famigliarità altissima per tumori di vario genere (soprattutto uteri e prostate) presenti in famiglia in entrambi i rami (non sto ad elencarli perchè è un “di più”, ma ci sono passati tutti tutti tutti da mia madre e mio padre in su fino ai nonni, tutti e quattro, ad arrivare a me prima di mia madre) sarebbe tempo sprecato e denaro (per lo Stato) buttato. Non serve un test genetico a confermare la mia predisposizione. La sua positività non cambierebbe la mia situazione di una virgola, la sua negatività non diminuirebbe il mio livello di rischio. E mi sono ammalata giovane. Non è un punto a mio favore.
Se fino a due mesi fa mi si poneva almeno il dubbio “etico” (mutilarsi per un “se forse…”, confondere la persona con la malattia…una moda… paturnie che passavano per la testa più che la paura, perchè paura concretamente, giuro, non ne avevo), la biopsia dell’endometrio ritirata poco dopo Natale ha tolto ogni dubbio.
Iperplasia endometriale. Endometrio disfunzionale. La causa: molto probabilmente la terapia ormonale (raramente, mi hanno detto, ma succede. Che fortuna.), come visti i precedenti in famiglia c’è una possibilità che anche no. La probabilità che si trasformi in neoplasia è alta. Le soluzioni, due: o controlli serratissimi con ecografia interna ogni tre mesi e isteroscopia con biopsia ogni sei fino a “quando”, che potrebbe essere due mesi, sei anni, dieci settimane, domani, nel 2026, vai a sapere dato che di terapia ormonale mi aspettano ulteriori cinque anni… Oppure isterectomia ed ovariectomia.
E io mi dispiace, fancool alla morale, alla questione etica, a tutto quello che si vuole, una vita col fiato sul collo anche per quello non la reggo, e ho deciso per il taglio.
Ieri sono stata a visita ginecologica, dopodomani ho il day hospital preoperatorio, entro tre o massimo quattro settimane il pensiero è tolto. E tolto il Decapeptyl, perchè il Letrozolo rimane.
Veloce, rapido, senza liste di attesa chilometriche. Disponibilità pressochè immediata. Che cool. Meglio di una clinica a pagamento.

Quella era la parte tecnica.
La parte emotiva… Eh. Non so nemmeno da dove iniziare.
Non ho voluto scriverne prima di adesso perchè volevo una data, e volevo metabolizzare. Premetto che so che c’è chi sta peggio, ma questo non mi toglie l’onere di pensarci nè la sofferenza. So anche che ho passato di peggio, ma avrei voluto che fosse finita lì, e finita non è. Cinque mesi fa circa, una persona a cui tenevo molto mi disse che il tumore mi aveva pur portato una cosa buona, ed era il rapporto tra me e questa persona. Che poi dopo un soffio questa mi abbia causato una sofferenza evitabile, non raccontabile e profondissima che mi trascino fino ad oggi è un altro lato della faccenda, ma di fatto finora più che “portarmi” mi sembra che il tumore al seno abbia “rubato”. E ruba femminilità nel senso fisiologico del termine. E ruba sicurezze. Ruba pezzi di me, dal mezzo seno al pezzo di braccio che non sento più da sei anni, ai miei organi più intimi. Anche dopo sei anni. No bono. Per niente.

Figli… L’idea del secondo figlio l’ho ingoiata a fatica in questi cinque anni. Ma non mi ci voglio dilungare, questa cosa la tengo per me. E’ una cosa troppo personale e troppo grande per riversarla qui. Ci sono troppi luoghi comuni pronti ad arrivare come frecce, e non ho la forza nè la voglia di ricacciarli ai mittenti. C’è il Power. E’ la mia fortuna. Ho ancora tanto da dargli.

Ho cercato in internet, in queste settimane, esperienze raccontate da donne che hanno avuto o hanno la mia stessa situazione. A parte che giovani come me (43 anni) le ho trovate col contagocce, ma ho letto cose abominevoli sul modo in cui considerano loro stesse una donna senza più organi riproduttivi. Donne non più donne, donne inutili, donne non più in grado di interessare un uomo, brutte, senza più desideri, finite. Cioè, ma stiamo scherzando? Va bene che attorno a questa parte del corpo ruota tutta una serie di discorsi fatti tra donne in sordina, di pubblicità mirate dalle quali qualcuna dice di sentirsi esclusa con rammarico, di ricordi di ragazzina, di nonne e zie che “mi raccomando adesso non saltare più con la corda”, eccetera eccetera. Sarà per come sono stata educata, mia madre ha fatto il sessantotto, ma no, abbiate pazienza, mi rifiuto di prendere in considerazione l’idea di essere “femmina” solo in virtù del fatto che porto un organo cavo che il maschio non ha. Ci ho provato a pensare a come sarò “dopo”, e francamente io mi ci vedo come oggi, nè più nè meno. Dovrò digerirla, certo, non sarà come togliere un dente, ma passato il periodo “down” (e me lo aspetto) mi rimane il resto. E il resto è la riflessione che sto facendo, e che mi fa dire a me stessa tutta una serie di motivi per cui non posso essere meno femminile di quanto non lo sia oggi.
Che io mi sento donna perchè ragiono da donna, mi vesto da donna, mi muovo da donna, mi trucco da donna. Ho le paturnie da donna, i sensi di colpa da mamma, i peccati di gola da femmina, i desideri da donna, le fisse da donna, la fiducia mal riposta che dà spesso ogni donna e prendo le tuonate da donna, e come ogni donna non riesco a liquidarne il dolore con un “chi se ne frega”. Amo da donna, spero da donna, dedico l’anima come quasi ogni donna, mi faccio mille scrupoli da donna, ho i rimpianti e i rimorsi di una donna, mi guardo dentro mille volte al giorno come una donna, vorrei fare mille cose in un colpo solo e riesco a farne almeno quattro alla volta (e chiedete ad un maschio di farne anche solo due, tipo parlare al telefono mentre mescolano la minestra, poi vedete), ho i capricci di una donna, dico “si” per dire “no” e viceversa quando fa comodo come ogni donna, mi illudo che gli uomini capiscano una direttiva facile come “compra due banane” e sistematicamente mi incavolo perchè per farlo devono telefonare tre volte dal super per avere delucidazioni, mi sale l’ansia per cose evitabili, divento una leonessa quando mi si tocca il pargolo. Leggo, scrivo, osservo, curo, asciugo lacrime, raccolgo vomiti senza senso di schifo, tampono sangue e  incerotto, racconto balle a fin di bene, nascondo caramelle nel mio armadio (girelle di liquirizia e caramelle alla panna del Lidl per non farmele fregare, non ditelo a nessuno, men che meno alla mia bilancia), chiacchiero, ricamo e uncinetto, coccolo, inciampo, cado, mi rialzo, piango in silenzio. E non mi annoio mai.

Tutte queste cose non sono nell’utero. Non ci possono stare. Ho letto le sue dimensioni sul referto di ieri: senza le ovaie, atrofico che è per via della cura, meno di sette centimetri per quattro, per uno spessore di boh. Piccino per farci entrare tutto quello che sono in testa e cuore, direi.

Man mano che scrivo, ed è un’ora e mezzo che sono qui eh, mi rendo conto che sto buttando giù questi concetti ancora una volta per me e per me sola. Per rileggerli e rileggerli e mandar via il magone che ho dentro. Non è bello quando ritiri una biopsia e vuole consegnartela il primario, è la seconda volta che mi succede, e non è una pheegata. Dopo la prima volta, anche per poco ti senti la spina dorsale attraversata da una scossa di corrente veloce, e ti si rizzano in testa le antenne che non hai. Ti dicono di star tranquilla e tu vorresti mandare a ranare tutti quanti, avere solo le risposte che chiedi, poche chiacchiere. E vorresti avere otto paia di orecchi per captare anche il rumore del volo del moscerino che attraversa la stanza facendosi i fatti suoi, per paura di perdere un solo minuscolo particolare che ti riguarda e dover uscire anche con una sola infima domandina, come la taglia del camicino aperto dietro che ti daranno. No, per dire.
Perchè la verità è che ho paura.
In sala operatoria ci sono entrata tante volte, c’è un chirurgo in particolare che ogni volta che mi vede girare per gli ambulatori (e ci incrociamo quasi sempre, guardacaso… è il medico che mi ha portato in oncologia per la prima volta, perchè non sapevo dove andare con l’impegnativa in mano) mi dice “ma lei è ancora qui?” e io gli rispondo che ci vado per fargli perdere capelli. Infatti in questi anni si è ben che stempiato. Ma non mi ci sono abituata mai. Ogni volta è la stessa paura. Ogni volta è la stessa attesa… delle gocce di EN che mi stordiscono quanto basta per non scendere dal lettino e fuggire all’ultimo momento, perchè subito dopo averle prese vado in bagno a infilare il camicino per l’operazione e non riesco a camminare dritta per tornare a stendermi trenta secondi dopo.
L’ultima volta è stata l’operazione per le due ernie al disco, nella Big City, 24 aprile 2012. L’esperienza con l’anestesia è stata angosciante. Mi sono sentita addormentare piano piano dal basso all’alto, prima i piedi, poi su, le ginocchia, il bacino… quando il torpore è arrivato ai polmoni e non mi sono più sentita muovere il torace sono entrata in panico, ho cercato di urlare e non ci riuscivo, ho biascicato “non respiro”, l’infermiera dietro mi rassicurava che si, respiro, e poi il buio, ma piano piano, che cercavo irrazionalmente di contrastare con tutte le mie forze. Non lo auguro a nessuno. Non ho paura del sangue, non mi fanno schifo le cicatrici (se non mi hanno fatto schifo quelle del seno e me le medicavo da sola…), sopporto il catetere, non ho paura del dolore. Ho paura di quel momento lì. Mi angoscia l’attesa.

Se c’è un bisogno che sento adesso non è di essere rassicurata, nè quello di essere compatita, o paragonata alla Angelina Jolie come hanno fatto diversi medici, compreso il mio di base (posso dirlo? FINITELA, a me di quello che fanno gli altri del loro corpo non è di nessun aiuto, men che meno se è gente che finisce sui giornali). All’unica persona, poi, che si è pensata di dirmi “cosa vuoi che sia, roba da poco, fai presto e ti togli un pensiero…” ho risposto “vuoi farla tu al posto mio? Accomodati, fai presto e ti togli un pensiero”, e ha chiuso la bocca. Perchè tutti sono eroi con la pelle degli altri.

L’unico desiderio che ho è di cose belle. Coccole, chiacchiere, biscotti, progetti, belle notizie, soprattutto belle notizie. Perchè io nel mio dolore non mi sto crogiolando. Ci soffro, ci rifletto, ci piango ogni tanto, ma sono ben decisa ad andare avanti, e il mondo non si deve certo fermare nè nascondere dietro ad un paravento per me. Non sto andando al macello. Non ne uscirò senza organi vitali, nè menomata. La mutilazione è intima, interiore più che fisica, ma per guarire quel tipo di mutilazione i mezzi ci sono e non sono nemmeno così eclatanti. Non c’è nemmeno un fattore estetico a cui rimediare, stavolta, a differenza di sei anni fa. Il buono per la ricostruzione gratis ce l’ho ancora, ma è lì, nell’etere, e chissà mai se e quando deciderò di usarlo. Per ora va bene così.
Mi passerà. Con calma o in fretta ma mi passerà. E’ sempre passata. Certo, sono giovane, ma le mie nonne alla mia età avevano già fatto entrambe questa cosa, e come me avevano già figli. Una è morta decenni dopo, l’altra è ancora viva e sta bene, per me non sarà la fine del mondo. Io ho il Power.
Non ho il cancro, lo sto prevenendo, certo con mezzi drastici, ma questa è la sostanza. Questo mi chiede la vita adesso. Per potermi godere tutto ciò che viene dopo, con una paura in meno.

(Ps. adesso sono qui che leggo e rileggo tutto innumerevoli volte eh, forse forse quello che ha partorito la mia testa ed è uscito dalle dita rientra attraverso il cuore e me ne convinco. Respiro a fondo… uno… due… La prendo larga? Larga la prendo.)

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la mia nuova… vita…

sono giorni, anzi, un paio di mesi, che penso a come raccontare il mio nuovo status.

non è che sia “complicato”, nel senso che – come ho detto già in precedenti post – la sto vivendo tutto sommato bene e non sono tra le persone che in questa nuova condizione si sono abbattute. però in effetti è tutto nuovo per me e fatico a trovare le parole giuste per descrivere la cosa. Ho trovato questo unu che ha statistiche stupefacenti, quindi sarà da ora il mio nuovo metodo di trasporto.

poi oggi un’amica mi ha raccontato che esiste una modella (in verità, facendo indagini su google, ho scoperto che le modelle sono almeno 2) che ha fatto “outing” e si è fatta fotografare con la sua bella stomia in vista, per sensibilizzare le persone su questo argomento.

eccola qui, una delle due modelle:

jessica-grossman-2

ecco, io al momento non sono come lei… per 2 importantissime differenze:

– la prima è che la mia taglia è notevolmente più abbondante della sua (ho perso peso, ma prima di arrivare ad assomigliare ad una modella come questa… dovrò perderne un’altra trentina, forse pure di più…)
– la seconda è che al momento io di stomie ne ho 2

da buona ignorante e fortunata… fino a pochi mesi fa nemmeno conoscevo la parola “stomia”.

la fortuna ha voluto che nella mia famiglia nessuno si trovasse a dover vivere questa esperienza prima di me…

l’ignoranza in materia medica per me è un rifugio: conoscere delle malattie se non le devo in qualche modo “vivere” in maniera diretta o indiretta non mi interessa… mi verrebbero i capelli dritti e mi riempirei di ulteriori paranoie di cui non ho bisogno.

quindi, come la maggior parte della gente, fino a poco fa, non sapevo che fosse una stomia.

che cos’è?
è un “buco” sulla pancia. ne esistono di vari tipi e sono dei “salvavita” per un sacco di malattie.
la modella qui sopra ha il morbo di Chron e grazie ad una ileostomia può vivere… altrimenti sarebbe morta.

io mi sono trovata una bella recidiva del mio tumore all’endometrio… che ha resistito prima alla chemioterapia, poi alla radioterapia… così si è trattato anche per me di vita o di … non vita…

prima dell’operazione non sapevo come sarei uscita dalla sala operatoria. anzi, non sapevo nemmeno se ne sarei uscita: un bel 20% di rischio di morte c’era… non vi sto a raccontare la paura che mi ha attanagliato… i conti sulle dita nel cuore della notte a pensare “20%, una persona su 5… le 2 che sono in stanza con me ce l’hanno fatta… meg prova a dormire che sti conti non ti fanno per niente bene…”

quando mi sono svegliata in sala risvegli, ho scoperto di avere sulla pancia 2 sacchetti: poi il giorno dopo mi hanno spiegato.
– la colon stomia, che devia l’intestino, è temporanea. se tutto va bene in primavera me la toglieranno e il mio intestino, pur se più corto di prima, tornerà “normale” per le sue vie tradizionali, stabilite dalla natura.
– la stomia urinaria è definitiva. questo lo sapevo già in partenza quasi al 100%: il male era strettamente vicino all’uretra e nel togliere il condotto vaginale (praticamente tutto… non c’è più nulla laggiù… non ho più un apparato riproduttivo, nemmeno un vago tratto)… era inevitabile togliere l’uretra e la vescica… per sempre. non è ricostruibile.

quindi, tra qualche mese perderò un sacchetto, ma l’altro mi farà compagnia fino alla fine dei miei giorni, che -grazie a questo intervento – spero sarà più lontana di quanto non fosse poco più di 2 mesi fa.

ora… penso che adesso capiate perché fosse difficile spiegare…

avevo pure paura di vivere male questa cosa del “cambio” dei sacchetti, della pulizia, del “si può vedere dai vestiti”, della vita “dopo” questo cambiamento non esattamente banale…

in questi giorni, cercando di capire come raccontare questa mia esperienza – perché ho voglia di raccontarla – riflettevo: pur nella mia ignoranza in materia medica e di malattie più o meno devastanti… ci sono casi di cui so pure io… le campagne di sensibilizzazione – per esempio – sul tumore al seno sono tali che sono arrivate anche a mostrarci le devastazioni di molti interventi. questo per sensibilizzare le donne alla prevenzione e per farci capire che c’è una vita anche dopo.

per le stomie… zero… o ce l’hai, o hai qualcuno in famiglia, un amico… oppure non ne sai nulla.

così mi ha colpito la scelta bellissima di queste modelle di mostrarsi nel loro intimo, con il loro sacchetto.

se vedi uno stomizzato “nudo”, non noti molto: c’è un “pallino” rosso, quello che è il buco da cui escono le evacuazioni, ma può sembrare un neo grosso, una voglia, in una foto.

il sacchetto invece è la tua vera “cosa che ti rende diverso”, quella che fatichi a mostrare in pubblico… quella che devi esorcizzare.

se volete leggere l’intervista alla modella della foto qui sopra, leggete qui. per me è stato molto interessante.

io… io e le mie 2 stomie siamo vive, stiamo imparando a conoscerci e a convivere… stiamo imparando a capire quali sono gli abiti giusti da indossare, quali devo abbandonare perché non più adatti.
sto cercando di evitare di buttarmi a cambiare tutto il guardaroba, dato che a breve (spero), il mio fisico cambierà di nuovo per la perdita di una delle due…

sto ragionando su “come dovremo fare” per andare comunque in acqua a camminare, non appena la stagione lo permetterà e le ferite dalle operazioni saranno ben sigillate…

sto – insomma – imparando a muovermi nella mia nuova vita, fatta di dispositivi medici di cui fare scorta, ritmi da imparare ad osservare, materiale da avere sempre con me…

tante cose nuove, ecco… ma tante nuove possibilità. di vita!

 

se volete leggere il post nel mio blog, potete andare qui

 

 

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Maledetta psiche

È un po’ come con la febbre: finché suppongo di averla tutto procede alla normalità, quando ne sono certa inizio a vagabondare moribonda per la casa. Tutta questione di testa.
…e così mi ritrovo a soli due giorni dalla prima TAC di controllo con tutti i sintomi possibili ed immaginabili. Ho un prurito terribile, giramenti di testa, oppressione al petto, sudorazione imbarazzante. Insomma, tutto ciò che provavo prima di sapere del Signor H.
È pazzesco quanto le sensazioni ed i sensi possano essere così vivi e reali solo per via della preoccupazione per un esame che, tra l’altro, ha una possibilità veramente minima di non andare bene…però questi due giorni non passano più! Maledetta psiche!

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Una sera ci incontrammo

Una sera ci incontrammo ma il nostro non fu propriamente un incontro galante.
Fu sotto la doccia.
Lei dopo una calda giornata estiva trascorsa in ufficio, aveva bisogno di  rilassarsi.
Sotto l’acqua che scorreva,  mentre si passava la mano insaponata sul seno, si fermò.
Oh, cavolo! Forse mi aveva scoperto!
E dire che avevo fatto di tutto per passare inosservato, mica le avevo dato fastidio
 Non le procuravo nessun dolore, neppure il minimo doloretto che le facesse pensare che ci fosse qualcosa di strano.
La mano ripassava sopra al nodulo, sopra di me insomma, indugiava incredula, poi passava a toccarsi l’ascella.
 Ecco, a questo punto se le sue dita fossero state esperte,  si sarebbe accorta che lui, il linfonodo che sta di sentinella, era KO.
 La sentinella era stata attenta.
.Cosicché decisi di rimanere al mio posto ma  mi nutrivo per diventare
sempre più forte e grande.
Lei, ancora sotto la doccia, si fermò a pensare.
 Finì  di sciacquarsi e se ne andò a letto, ma forse ancora non credeva alla mia presenza.
La notte si girò e rigirò nel letto senza riuscire a dormire
ma sapevo che stava pensando a me.
Nei giorni successivi dita e mani esperte mi tastarono, mi misurarono,
poi mi fotografarono,
a lei   perfino fecero dei tatuaggi per delimitare quanto fossi grande.
Poi un mattino, arrivò una sorpresa
. Un liquido rosso potente,  mi schiaffeggiò, mi distrusse un pezzettino alla volta, periodicamente.
 Poi ne arrivarono altri due, implacabili liquidi che mi tolsero perfino
 quello di cui mi nutrivo.
Mani esperte continuarono puntualmente a tastarmi e misurarmi.
 Di me ormai però non rimaneva quasi nulla, se non qualche frammento
e… un peduncolo che tenevo nascosto,
ah! questo non lo avrebbero visto e sarei ripartito da lì, proprio da quella piccola parte sfuggita a mani esperte e macchinari.
Credevo fosse così.
 Ma poi un liquido che le iniettarono dove io ero stato per un pò di tempo indisturbato, mi illuminò davanti ad un macchinario e proprio quel mio peduncolo fu scoperto.
Nel momento in cui mi separarono da lei, mi trasformai in un pensiero e mi nascosi nella sua anima.
Io ero, in fondo, una parte di lei.
D’accordo ero una parte un pochino anarchica, non avevo rispettato le regole alle quali le altre cellule di lei  diligentemente ubbidiscono.
 Ma io ero, in fondo, come ho già detto una parte di lei
e il nostro incontro fu speciale,
perché riuscii a cambiarle la vita.
Niente per lei fu come prima di conoscermi,
ma molto fu meglio di prima.
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Un testimone scomodo

spilloIl 9 ottobre, famoso giorno della mia rinascita, in realtà non è stato tutto rose e fiori. La stessa sera hanno ricoverato una persona alla quale voglio molto bene. Non è veramente mia zia, ma io la considero a tutti gli effetti come tale.
Fino a notte fonda io, il mio amore e i miei “cugini” siamo stati al pronto soccorso per capire cosa fosse successo, per capire il motivo del ricovero. Di nuovo paura, di nuovo il cancro che, senza bussare, entra nella nostra vita, di nuovo mille ricerche su internet, di nuovo quel nodo alla gola che rende faticoso anche solo dirsi una parola, di nuovo il silenzio. Ho provato in ogni modo a parlare, a spiegare alla sua famiglia quanto dovessero farsi forza in quel momento, quanto dovessero reagire, che in realtà averlo scoperto era stato solo un bene e che da quel momento iniziava la battaglia più importante che poteva risolvere davvero le cose… ma nei loro occhi, come è normale, c’era solo paura.
Ed io…io che solo poche ore prima avevo finito la mia lotta, che ero finalmente liberata e sollevata, mi sono sentita quasi in colpa di essere felice. È stato come passare un testimone scomodo.
È una cosa che non avevo mai detto, forse un po’ per rispetto di questo suo momento, forse per scaramanzia. Adesso tutto è finito. È stata una grande guerriera…e finalmente è uscita da quest’incubo. Sono molto felice. Veramente.

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Flashback – In principio fu…colica intestinale!

spillo…perché certi giorni sono difficili da dimenticare…! Questo succedeva esattamente un anno fa…

Mi sveglio con un fastidio al fianco. Niente di grave, i soliti dolori mestruali…(o almeno, questo è ciò che penso) ed esco lo stesso per portare a spasso Spillo. Provo a ributtarmi sul letto a continuare a scrivere la tesi, ma non riesco a stare in nessuna posizione. Sono una tragica di natura, qualsiasi cosa mi fa allarmare e quindi mi fiondo al Pronto Soccorso tra un “le inventi tutte pur di non far la tesi” e un “voglio poi vederti quando dovrai partorire…”.
Al triage mi dicono che avrò da attendere almeno sei ore, e nel frattempo mi consegnano una fialetta per le urine: “Quando le hai, portale qui senza fare la fila”. Così inizia la mia lunga giornata piegata su una seggiola scomodissima. Per fortuna mi metto a parlare con una ragazza e una coppia che aveva appena fatto un incidente e tra una chiacchiera e l’altra il tempo passa relativamente più veloce.
Dopo un’oretta riporto la fialetta all’infermiere, che tira fuori un cartina per misurare il livello di sangue contenuto all’interno. 2 su 10. Chiedo se questo risultato può essere influenzato dal fatto che mi sono passate le mestruazioni da due giorni, ma lui mi spiega che quando ad una donna negli ultimi giorni di mestruo il flusso cala, in realtà il ciclo è già terminato, ma continuano ad esserci perdite di sangue che sono i residui. Per questo motivo, si può considerare che il ciclo mi sia finito da 4-5 giorni ed è altamente improbabile che le tracce di sangue nelle urine siano dovuti ad ulteriori residui mestruali. Torno a sedere in sala d’aspetto pensando che, alla peggio, la mia diagnosi sarà una colica renale, come mi ha anticipato l’infermiere del triage.
Arrivano sempre più persone molto più urgenti di me ed io vengo chiamata in ambulatorio dopo circa otto ore. Sono stanca morta. La dottoressa mi guarda, mi da un colpetto dietro ad una costola. Cerco di spiegarle che non è esattamente quello il punto che mi fa male, ma lei è ormai al computer e sta scrivendo la sua diagnosi basata sul nulla più totale. Dice che ho una colica intestinale.
“Scusi, ma non mi fa neanche un’ecografia?”
“Non serve, si tratta di colica intestinale”
“Ma come fa a dirlo, se non ho fatto nessun esame?”
“Signorina, se non le va bene può andare via. Qua il medico sono io”
“Guardi, ho fatto anche l’esame delle urine mentre ero in attesa. Avevo un livello 2 di sangue all’interno”
“Non è possibile. Con una colica intestinale non può esserci traccia di sangue nelle urine”
“E’ per questo che le sto chiedendo di fare almeno un’ecografia. Ho aspettato otto ore!”
A questo punto si inserisce nel discorso anche la ragazza stagista che stava assistendo alla scena: “Scusi, signorina, ma lei vuole per forza avere qualcosa di grave??!”
“No, vorrei semplicemente sapere cos’ho”
E così eccomi, di nuovo in bagno per ripetere l’esame delle urine e soddisfare l’incredulità della dottoressa. Il risultato ovviamente non è cambiato. Mi guarda non sapendo cosa dire ed esclama: “Beh…saranno sicuramente residui di sangue mestruale!”. Giuro…volevo svenire e risvegliarmi pensando fosse stato solo un sogno! Mi dimette comunque con la diagnosi di colica intestinale, mi prescrive cinque pastiglie e sul foglio delle dimissioni scrive testuali parole: “la paziente richiede insistentemente un’ecografia. L’esame potrà essere effettuato con regime di assoluta non urgenza su richiesta del proprio medico curante”.

Per fortuna il mio medico di base mi ha invece ascoltata; il giorno dopo sono andata a fare un’ecografia d’urgenza… ormai per me e per mia madre era diventata una questione di principio, curiosità di sapere.
In quell’occasione l’ecografo mi ha detto che avevo due palline su un rene e piccole masse più piccole sulla milza ingrossata. Palline che potevano essere qualsiasi cosa: da cisti innocue a cellule tumorali. E’ stato allora che ho iniziato a farmi qualche domanda. E’ stato allora quando è iniziata la mia lotta al Signor H… ma da qui in poi la storia già la conoscete…

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100

spilloQuesto è il mio centesimo post.

Cento è una cifra importante. Un grande traguardo.

L’iniziare a scrivere così per gioco è diventato concretamente qualcosa di importante, e quindi eccomi qui a raccontarvi un paio di novità: innanzitutto sono stata contattata da una nota attrice romana che sta scrivendo uno spettacolo teatrale di sensibilizzazione sul cancro, nel quale presenterà storie tratte da esperienze reali. Mi ha chiesto il permesso di utilizzare alcuni dei miei testi all’interno dello spettacolo ed io ovviamente ho accettato. Inoltre, pare che una delle mie dottoresse abbia in programma di creare alcuni laboratori virtuali ed incontri creativi con i ragazzi adolescenti ricoverati nel reparto di onco-ematologia. Dice che ha da subito pensato che io potessi essere la persona giusta con cui parlare per sviluppare questo progetto. Dire che sono felice è decisamente riduttivo. Sono super orgogliosa!

Ma si può sempre fare di più… quindi ho avuto un’altra bella idea per il nuovo anno: vorrei creare un libro che raccoglie la mia storia fin qua. Una prima parte che sarà l’insieme di tutti i miei post, più o meno come sono stati presentati sul blog, e che riassumono tutta la mia storia dall’inizio alla fine… ma non solo. Avrei bisogno anche di un piccolo aiuto da parte vostra: lascio a chiunque di voi abbia piacere “la penna” e la possibilità di scrivere un post per me. Dovrebbe essere qualcosa che riguarda voi in relazione alla mia storia. Che idea vi siete fatti di me, del blog, della mia malattia, la descrizione di qualcosa che avete vissuto con me o di un’emozione che avete provato in un determinato momento o leggendo qualcosa in particolare. Insomma…ciò che volete senza limitazioni di tema o di lunghezza. Siete ormai parte di me e mi piacerebbe che diventaste la seconda parte del mio libro…! Perché è sicuramente difficile essere nei panni del “malato” che racconta sé stesso, ma spesso non è assolutamente facile neanche stargli vicino. Più scritti riceverò e più il libro sarà interessante e ricco di punti di vista diversi. Credo che possa venire fuori qualcosa di veramente bello.

Voglio farlo per donare i ricavati all’AIL, perché possa andare avanti con la ricerca; quella stessa ricerca che ha permesso a me di essere una malata fortunata. Voglio farlo per la gioia di condividere ancora la mia esperienza, magari anche con le persone che non utilizzano abitualmente il computer. Voglio farlo per eliminare questo tabù che purtroppo condiziona la nostra società: il CANCRO non è più una condanna a morte certa. E’ vero, è una parola di quelle che, solo a pronunciarla, incute timore, ma i progressi dei ricercatori stanno permettendo che sempre più spesso si possa giungere ad un lieto fine. Voglio farlo per spiegare che io il Signor H l’ho reso parte della mia vita in tutto e per tutto. E’ lui che ha creato in me paure, incertezze, emozioni quasi inspiegabili… ma è anche grazie a lui se i rapporti con le persone che ho vicino sono cambiati, se do un valore diverso a ciò che mi accade intorno, se ad oggi mi sento una persona diversa.

Oggi lui è stato sconfitto, ma è ancora assolutamente parte di me e, probabilmente, non smetterà mai di esserlo. Oggi mi sento felice. Oggi sorrido due volte… e amo la vita più che mai.
Ps: chiunque voglia partecipare all’iniziativa può inviarmi il proprio scritto nella sezione “Contattami” in fondo alla pagina del mio blog entro il 30 gennaio 🙂

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Sogni sensazionali…

spillo

No, non parlo di sogni meravigliosi, ma di sogni sensazionali. O meglio, sogni di sensazioni. Prima di stanotte non mi era MAI successo. Mai avevo sentito così chiaramente un rumore, un odore, qualcosa a contatto con la mia pelle mentre dormivo.

Ho sognato una delle tante chemio, ed è strano che succeda proprio ora che stavo raccogliendo le “cose” materiali che mi hanno accompagnato in questi mesi per poter creare uno scatolone dei “ricordi”. L’ho vissuta come una sorta di segnale. E’ come se fossero state proprio loro, le sensazioni, a tornare per ricordarmi che ci sono ancora, che non è così semplice dimenticarle e chiuderle in una scatola come tutto il resto. Eccole che tornano tutte insieme, infami, all’interno di un sogno. E’ da quando mi sono svegliata che non penso ad altro. A tutte quelle sensazioni che forse con il tempo potranno attenuarsi, ma che inevitabilmente resteranno radicate in me.

Non si può dimenticare ciò che si prova entrando in una sala d’aspetto piena zeppa di persone che stanno affrontando percorsi simili, che spesso hanno lo stesso sguardo e che faticano a guardarsi in faccia l’un l’altro.

Non si può dimenticare l’odore del reparto. Quell’odore che prima della terapia non ha alcun odore, ma che poi diventa insopportabile e fa venire la nausea solo a pensarci.

Non si possono dimenticare gli aghi nel momento in cui ti perforano le braccia, e il freddo dei farmaci che scorre nelle vene.

Non si può dimenticare il rumore della pompa che, inesorabile, dosa le flebo e scandisce ogni secondo della permanenza all’interno del box.

Non si possono dimenticare gli effetti collaterali. La nausea, il dolore alle braccia e alle ossa, il bruciore incredibile di alcune punture.

Non si può dimenticare la paura del Prima.

Adesso ho capito. E’ tutto abbastanza chiaro. Le provette-regalo degli infermieri, gli striscioni che mi hanno fatto gli amici, il foulard autografato, il quadernone degli esami, i portafortuna, le settimane enigmistiche, le famose Lupo Alberto… queste cose sì che potranno finire nel mio scatolone dei ricordi. Ma le sensazioni…

Le sensazioni dovrò tenerle con me.

 

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“E’ il mio corpo che cambia…

spillo…nella forma e nel colore: è trasformazione!”. Così cantavano i Litfiba, e così mi sento in questi giorni. Anche le persone per strada, quando mi salutano mi chiedono se ho finalmente finito la chemio perché “si vede proprio che hai un’altra faccia”. Assolutamente! Nel giro di un mese sembro davvero un’altra persona!

La mia lucida pelata sta lasciando spazio ad un fitto tappeto di capelli, sottili sottili ma più forti che mai.

Le sopracciglia stanno ricrescendo come prima e più di prima… faccio veramente fatica a domarle e ogni due giorni corro dall’estetista per disboscarle.

La pelle su tutto il corpo è ruvida come non mai… mi sembra di avere perennemente la pelle d’oca: i pori si sono rialzati per poi aprirsi e far uscire la peluria. In faccia, sulla pancia, ovunque. Ho paura di trasformarmi in uno scimpanzè!

Le unghie non mi si spezzano più, sono diventate dure e resistenti.

Le braccia e le gambe sono progressivamente uscite dal letargo (anche se, in realtà, le estremità delle dita formicolano ancora).

Inizio ad avere anche un po’ meno prurito (finalmente!)

…e non vorrei sembrarvi esageratamente vanitosa, ma ieri ho ricominciato ad utilizzare il mio adorato mascara!! Per chiunque può sembrare una sciocchezza, ma avere di nuovo le ciglia è la cosa più bella del mondo. Non dovrò più nascondere i miei occhi gonfi e glabri che davano veramente l’idea di un viso malato.

Adoro essere di nuovo io!

 

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